Hotel climatizzati, le prime tv Bari è come Milano. Al Sud
E pensare, dice il ragionier Bernasconi, che 15 anni fa in centro c’era un solo caffè notturno. Era frequentato esclusivamente da uomini, la padrona costretta a ballare a turno con loro. Oggi pasticcerie come a New York ma il ristorante di seppioline crude resta...
Un’immagine di Bari vecchia nel 1947, una decina d’anni prima di questo articolo, quando la città uscita dalla guerra
era poverissima
Chi ha l’anima oppressa, il crepacuore, l’asma, chi soffre di claustrofobia deve venire quaggiù a «bighellonare» da un caffè all’altro, a bere quest’aria leggera senza timore di diventare mai flaccido. Il rito domenicale della pulitura delle scarpe prelude alla messa cantata in San Nicola e alle comunioni in massa poco prima di mezzogiorno. La città è esplosa questa mattina, all’alba tutti erano per la strada coi vestiti nuovi.
Quanta grazia è caduta intorno al Petruzzelli in questi ultimi mesi! Bari ha avuto un giudice costituzionale nominato dal Presidente della Repubblica, ha avuto la presidenza del gruppo industriale più potente di tutto il Mezzogiorno, ha una Fiera con la partecipazione di 50 nazioni, ha l’aria condizionata nelle stanze del nuovissimo Palace, da qualche sera ha la televisione, una pasticceria che potrebbe stare in via Manzoni o in via delle Convertite, un magazzino a prezzi fissi degno di Nuova York, l’entusiasmo del prof. Tridente e un ristorante a mare, a dieci chilometri dal centro, dove si mangiano le seppioline crude, senza pepe senza sale senza olio, che bastano a farti sentire in gamba per un anno intero. Abbiamo visto intorno ai tavoli della Luna Verde per la provvista di fosforo e di iodio molti anziani rispettabilissimi.
Quindici anni fa, mi dice il ragionier Bernasconi, c’era a Bari soltanto un caffè notturno. C’entravano soltanto gli uomini e la padrona era costretta a ballare a turno con i clienti. I baresi si sono decisi a portare in giro le loro belle donne. Le strade del centro rigurgitano di bionde e di more, di cavalle normanne e di cavalle saracine. Le donne sono come questi frutti dalla polpa granata o rosea oscura e la buccia viola e azzurra. Sembrano tinte, truccate.
Un altro albergo è stato inaugurato in questi giorni, naturalmente è modernissimo. Non ha avuto il tempo di far la prova generale. Si è trovato pieno dalla prima sera e con una clientela esigentissima. Se l’è cavata egregiamente. Forse soltanto i cuscini sono difettosi. Ma quanti sono gli alberghi al mondo che hanno trovato una soluzione al problema dei cuscini? O troppo molli o troppo duri. Ahimè, all’ultimo momento ho scoperto che c’era nell’armadio una pila di cuscini di riserva per i clienti difficili, lunghi e stretti, larghie bassi, d’aria di piuma di spugna di crine di lana.
La cameriera anziana mi ha scambiato per un milanese, mi ha fatto grandi elogi di Milano, non c’è altra città al mondo dove le piacerebbe lavorare se dovesse lasciare la sua Puglia. «Ho una figlia, mi dice, che sta a Milano da tre anni. Si trova bene, scrive che ha avuto fortuna. Insiste di avere lassù anche sua sorella, che non ha ancora vent’anni. Ma mi dispiace rimanere sola».
Quest’anno non ho avuto il tempo di affacciarmi in Bari vecchia. Avevo le ore contate, si scende dall’aereo dopo un’ora da Ciampino. Ma un carissimo amico, a 140 all’ora, con una supersprint, in pochi minuti, tagliando fuori Bitonto e Ruvo, mi ha portato ai piedi di Castel del Monte, a 60 chilometri da Bari. Stavamo a guardarlo di sotto in su, da uno degli otto lati, a discutere la connessione dei massi parallelepipedi, incastrati senza grande regolarità, quando una rondine come una fucilata penetrò all’improvviso in un buco che appena l’occhio riuscì a trovare tra gli interstizi delle pietre. «Le rondini africane tornano tutti gli anni a fare il nido e c’è chi sostiene che la creta portata nel becco da tanti uccelli abbia servito ad allungare la vita dell’edificio di alcuni secoli ».
Girammo tutt’intorno. La posizione scelta dal re era bellissima. Il castello sorgeva sulla cima di un’altura a circa 500 metri di quota, e per un raggio di diecine di chilometri la pianura si stendeva a cerchio fino al mare e fino ai monti lontani. Ci arrampicammo per raggiungere la soglia pestando un groviglio di piante lattiginose, simili all’ortica e alla zucca. «Queste erbe infette si ritrovano spesso vicino ai fabbricati, nascono dai calcinacci e ne proteggono l’ingresso dalle vipere e dai serpenti». Dentro i grandi vani trapezoidali la luce entrava da una finestra e dalle feritoie alte e strette.
Arrivammo fino al piano nobile e sul tetto. Ci sporgemmo dall’alto sulla corte. Nell’interno delle stanze i portali di porfido erano stati rosicchiati dal tempo. La polpa era andata in polvere, il conglomerato era ridotto a brandelli rimaneva qualche grappolo di piccoli ovoidi. Appuntammo una data nella memoria, l’anno 1245. Federico II doveva morire dopo qualche anno. Si dice che fra queste pietre dorate, in questa solitudine, l’imperatore ritrovò un po’ di pace, fino a scrivere un trattato sull’arte di ingannare gli uccelli.