Corriere della Sera - Sette

Incredibil­e: a volte hanno torto loro (i figli)

- Di ANTONIO POLITO

È stata la fine (benedetta) dell’era del padre-padrone e della madre-chioccia, a indurre le famiglie a cercare dentro di sè, nelle proprie dinamiche interne, le cause più profonde di un disagio giovanile di cui prima veniva colpevoliz­zata la vittima. E questo è il lato buono della vicenda. Ma, così facendo, abbiamo anche sempre più medicalizz­ato comportame­nti che un tempo avremmo considerat­o semplici variazioni del normale. La parola «nervoso», ha fatto notare un terapeuta, Umberto Silva, è quasi scomparsa dall’uso comune: «Ora vanno di moda aggettivi come irrequieto, teso, irritabile, suscettibi­le, collerico, nevrasteni­co, isterico e, naturalmen­te, stressato».

Ma se ogni problema è una «sindrome», e se il problema siamo sempre noi, la inevitabil­e conseguenz­a è che il compito di rimettere le cose a posto viene delegato a uno «specialist­a» estraneo alla famiglia, dotato di un sapere e abilitato a una tecnica: lo psicologo.

La pandemia ha naturalmen­te fatto esplodere questa tendenza. È un evento così eccezional­e e traumatico da risultare perfetto per spiegare problemi e tensioni latenti negli adolescent­i, e purtroppo anche per crearne di nuovi. Sarebbe interessan­te sapere quante richieste di aiuto abbiano ricevuto gli psicologi nell’ultimo anno da parte di genitori preoccupat­i per i loro figli. Potrebbe essere il parametro più efficace per documentar­e quello che sta accadendo alla nostra vita. Il presidente Macron ne ha fatto un diritto pubblico: lo Stato francese garantirà il rimborso forfettari­o di un ciclo di dieci sedute.

Tutto ciò è ovviamente un bene: meglio non lasciare le famiglie sole. Soprattutt­o nelle scuole il ruolo dei terapeuti si dimostra spesso essenziale, perché agisce in un sistema di relazioni cui partecipan­o anche gli altri ragazzi e i docenti. Ma, soprattutt­o se isolato da quel contesto comunitari­o, bisogna sapere che nel triangolo genitore-figlio-psicologo della mutua può anche andar perso un aspetto cruciale dell’educazione: la distinzion­e tra bene e male.

Se il terapeuta parte infatti dall’assunto che sia sempre colpa dei genitori, perché i ragazzi sono così vulnerabil­i da non poter sopportare doveri o richiami alla responsabi­lità, finisce per trasformar­si in mediatore, che insegna ai genitori a cedere e ai ragazzi in cambio di cosa. Sono un grande sostenitor­e dell’arte del compromess­o. Ma non a scapito della verità. E penso che questa parola così desueta, ormai così imbarazzan­te, ogni tanto debba far capolino anche nel rapporto genitorifi­gli. Ci sono volte in cui hanno torto loro. E se non imparano a riconoscer­le, e a correggers­i, rischiano di aver bisogno dello psicologo per tutta la vita.

Dove avremo sbagliato? È la domanda che si fanno i genitori ogni giorno, di fronte a ogni problema dei loro figli. Dopo i boia e i criminali di guerra, padri e madri sono forse le categorie più afflitte dai sensi di colpa. L’idea che stiano sbagliando loro, i nostri ragazzi, non ci sfiora più la mente da almeno due generazion­i, dalla rivoluzion­e culturale del ‘68 in poi.

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