Incredibile: a volte hanno torto loro (i figli)
È stata la fine (benedetta) dell’era del padre-padrone e della madre-chioccia, a indurre le famiglie a cercare dentro di sè, nelle proprie dinamiche interne, le cause più profonde di un disagio giovanile di cui prima veniva colpevolizzata la vittima. E questo è il lato buono della vicenda. Ma, così facendo, abbiamo anche sempre più medicalizzato comportamenti che un tempo avremmo considerato semplici variazioni del normale. La parola «nervoso», ha fatto notare un terapeuta, Umberto Silva, è quasi scomparsa dall’uso comune: «Ora vanno di moda aggettivi come irrequieto, teso, irritabile, suscettibile, collerico, nevrastenico, isterico e, naturalmente, stressato».
Ma se ogni problema è una «sindrome», e se il problema siamo sempre noi, la inevitabile conseguenza è che il compito di rimettere le cose a posto viene delegato a uno «specialista» estraneo alla famiglia, dotato di un sapere e abilitato a una tecnica: lo psicologo.
La pandemia ha naturalmente fatto esplodere questa tendenza. È un evento così eccezionale e traumatico da risultare perfetto per spiegare problemi e tensioni latenti negli adolescenti, e purtroppo anche per crearne di nuovi. Sarebbe interessante sapere quante richieste di aiuto abbiano ricevuto gli psicologi nell’ultimo anno da parte di genitori preoccupati per i loro figli. Potrebbe essere il parametro più efficace per documentare quello che sta accadendo alla nostra vita. Il presidente Macron ne ha fatto un diritto pubblico: lo Stato francese garantirà il rimborso forfettario di un ciclo di dieci sedute.
Tutto ciò è ovviamente un bene: meglio non lasciare le famiglie sole. Soprattutto nelle scuole il ruolo dei terapeuti si dimostra spesso essenziale, perché agisce in un sistema di relazioni cui partecipano anche gli altri ragazzi e i docenti. Ma, soprattutto se isolato da quel contesto comunitario, bisogna sapere che nel triangolo genitore-figlio-psicologo della mutua può anche andar perso un aspetto cruciale dell’educazione: la distinzione tra bene e male.
Se il terapeuta parte infatti dall’assunto che sia sempre colpa dei genitori, perché i ragazzi sono così vulnerabili da non poter sopportare doveri o richiami alla responsabilità, finisce per trasformarsi in mediatore, che insegna ai genitori a cedere e ai ragazzi in cambio di cosa. Sono un grande sostenitore dell’arte del compromesso. Ma non a scapito della verità. E penso che questa parola così desueta, ormai così imbarazzante, ogni tanto debba far capolino anche nel rapporto genitorifigli. Ci sono volte in cui hanno torto loro. E se non imparano a riconoscerle, e a correggersi, rischiano di aver bisogno dello psicologo per tutta la vita.
Dove avremo sbagliato? È la domanda che si fanno i genitori ogni giorno, di fronte a ogni problema dei loro figli. Dopo i boia e i criminali di guerra, padri e madri sono forse le categorie più afflitte dai sensi di colpa. L’idea che stiano sbagliando loro, i nostri ragazzi, non ci sfiora più la mente da almeno due generazioni, dalla rivoluzione culturale del ‘68 in poi.