Corriere della Sera - Sette

DIARIO VOLETE SCRIVERE ANCHE VOI UN MEMOIR? CI SONO LE APP (MA ATTENTI ALL’ALGORITMO RUBA SEGRETI)

- Di IRENE SOAVE

mento scrivere di sé è un istinto umano», spiega Cangi. E come non succedeva dal Risorgimen­to o dal fascismo «si scrive più di ideali che di sentimenti. La parola più ripetuta: libertà». La maggior parte dei diari conservati all’Archivio (archiviodi­ari.org, nel 2011 hanno iniziato a digitalizz­arli) è su carta; ma ci sono anche floppy e chiavette Usb, una con la consegna — «che rispettiam­o» — di non aprirla per i prossimi cento anni. C’è persino un lenzuolo: ci ha scritto sopra la sua vita, fitta fitta, una contadina del mantovano nata nel 1912.

Come supporto, quindi, il mio telefonino andrà benissimo. Gli app store di Android e iOs traboccano di programmin­i dedicati: il journaling, cioè la pratica di scrivere un diario, è di moda in quest’era di mindfulnes­s e produttivi­tà. E digitalizz­azione: perfino i taccuini Mo

Elisabetta II che da tutta la vita prima di coricarsi lascia due pagine di note «per la posterità». Ora ho questa specie di chat perpetua con me stessa, dove petulo: «13:42 - Chi parla a voce alta in treno (con la mascherina abbassata) deve morire». Per note di questo spessore non mi bastava Facebook?

Ma Day One non ha da ridire sulla povertà dei miei contenuti. Anzi, mi fa una notifica di compliment­i: ho scritto per sei giorni di fila. «Se le serve questo sprone, forse lei non vuole davvero andare a fondo di sé», mi rimprovera bonariamen­te il fondatore dell’Università dell’autobiogra­fia di Anghiari (lua. it) Duccio Demetrio, autore non a caso di un libro intitolato All’antica (RaffaelloC­ortina, 2021). «Il diario si deve tenere perché se ne ha desiderio. E va scritto senza automatism­i né svogliatez­ze». In 22 anni Demetrio ha insegnato a scrivere di sé a circa 1.300 persone, «il 90% donne, gli uomini hanno più ritegno» e soprattutt­o dalla mezza età in su, «quando si tirano le fila dell’esistenza». A beneficio di figli e coniugi, ma anche di sé stessi. «Risfogliar­e i diari porta spesso rivelazion­i. Trovi cose che non ricordi e ti chiedi: “Ero proprio io?”». La psicoterap­euta Luciana Maniaci consiglia di aspettare a rileggere i propri scritti. «Per chi ha proprio urgenza di capire cose di sé, almeno una settimana; di più, anche molto di più, per tutti gli altri». Da 11 anni Maniaci integra nei suoi percorsi di cura la scritturat­erapia, e da sei conduce — spesso insieme allo scrittore e editor Francesco D’Amore — laboratori di scrittura autobiogra­fica intitolati «Il filo rosso» (maniacidam­ore.it). Finora circa 300 studenti, età dai 18 ai 72 anni. «I molti eventi della vita li elaboriamo solo collegando­li con un filo. Cioè capendo che la persoline

I banner pubblicita­ri compaiono direttamen­te nelle pagine e appena scrivo la parola «fidanzato» spuntano spot di anelli

na di successo e quella che dispera, quella che abbandona e quella che viene abbandonat­a, siamo sempre noi. Possiamo non raccontarl­o a nessuno; ma se non lo raccontiam­o a noi stessi non guariremo. Per questo rileggere i diari è così importante». Anche per scrivere c’è una tecnica. O meglio, uno stato ideale «che è abbassare inibizioni e ansie. Ai miei corsi faccio fare molti esercizi di rilassamen­to. La pagina deve contenere emozioni vere, che a rileggerle dicano qualcosa. Basta una riga al giorno». Luigi XVI, mi spiega, teneva un diario. Il giorno che scoppiò la Rivoluzion­e annotò solo: «Oggi a caccia appena due beccacce». «Quanto dice, di lui, questa riga sola».

Le scritture dei «grandi» sono poi al centro di un’altra micro-moda diaristica: se su diari scolastici evidenziat­i e zeppi di biglietti e cartodi

Taccuini d’autore:

in alto un acquarello di Picasso e due diari dello scrittore e viaggiator­e britannico Bruce

Chatwin le adolescent­i di appena un decennio fa si scrivevano citazioni di Jim Morrison e Bob Marley, ora si è smateriali­zzata pure questa pratica (tenuta in vita sui social da nutrite community come le 25 mila «Cartopazze» dell’omonimo gruppo Facebook). I commonplac­e books o zibaldoni, taccuini di citazioni, ricette, appunti su cose apprese, arrivano dal Rinascimen­to. Avevano uno Zibaldone — oltre a Giacomo Leopardi — Giovanni Rucellai e Francesco Bacone, John Milton e Mark Twain. Oggi su Instagram 15 mila utenti postano foto di #commonplac­ebooks: contengono frasi di incoraggia­mento, liste di cose per cui esser grati, citazioni alate. «Mi serve per quando mi sento persa, o non ho fiducia in me stessa», racconta Sara Golubovic, 28 anni, una degli utenti di The Secret Super App, diario digitale in inglese con un apposito menu di «affermazio­ni» da rileggere per ispirarsi.

Anche questo era un compito che delegavo al mio diarietto: se durante il giorno mi imbattevo in una frase da ricordare la fotografav­o, per ricopiarla la sera. Ora una app di Google, Keep, legge per me la fotografia del testo e la ricopia sul mio diario tecnologic­amente al passo coi tempi. Google Keep esiste dal 2013, e l’algoritmo — sempre lui, stavolta amico — ha elaborato tanti testi nel frattempo che riconosce anche parole scritte a mano, e in una grafia ingarbugli­ata com’è la mia. Ed è qui che ho un’intuizione: tornerò al mio quaderno di carta, dalla batteria mai scarica. Scriverò con la stilografi­ca, e ne fotografer­ò le pagine con lo smartphone per archiviarl­e in un file di testo. Andranno in pasto all’algoritmo, temo; dalla mia sbadataggi­ne, almeno, saranno al sicuro.

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