JUDAS & THE BLACK MESSIAH 7
davvero sentito – pare più riuscito.
Certo, il confronto con l’edizione passata è impietoso. C’erano in lizza tre film di autori-monumento: oltre a Scorsese e al vittorioso sudcoreano Bong Joon Ho di Parasite, anche Quentin Tarantino di C’era una volta... a Hollywood. Quest’anno i film, che in Italia abbiamo visto in streaming quando sono arrivati
e lo stesso aspettano il post Oscar) sono tutti di livello medio. Si stacca leggermente dal gruppo Minari (voto 8), del regista Usa di origine sudcoreana Lee Isaac Chung, prodotto da Brad Pitt, che racconta con delicatezza e originalità la storia autobiografica d’una famiglia da Seul all’Arkansas rurale ai tempi di Reagan. Ma è difficile pensare a un bis sudcoreano dopo Parasite. Anche Sound of Metal (voto 6) è un piccolo film (sulla sordità improvvisa in un musicista) ma dal tono freddo, poco empatico. The Father (voto 6,5), oltre a un immenso Anthony Hopkins favorito come miglior attore, è prodotto tradizionale e poco altro. Come il secondo Netflix, Il processo ai Chicago 7 (voto 6,5), di Aaron Sorkin: ben congegnato ma alla fine scontato. I due film programmaticamente nati per cavalcare i mondi a lungo esclusi dalla Academy, afroamericani e donne, possono ambire al colpaccio da outsider: ma se Una donna promettente (voto 6), con una brava Carey Mulligan in corsa per la statuetta, è un incubo da MeToo un po’ tagliato con l’accetta, Judas & the Black Messiah (voto 7), storia vera di Pantere Nere, le sue chance se le gioca.