Corriere della Sera - Sette

SOTTO L’OMBRELLO DI MARIO DRAGHI TUTTI I PARTITI STANNO CAMBIANDO

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Sotto l’ombrello di Mario Draghi sta nascendo un mondo politico nuovo? La stagione delle illusioni, inaugurata dai risultati del voto 2018 è finita in archivio grazie al bagno di realtà a cui la pandemia ha costretto tutti? Sono passati tre anni, sembra una vita fa. L’imprevedib­ilità e l’improvvisa­zione, che spesso hanno caratteriz­zato leader e partiti di questa stagione, sono un antidoto alle certezze delle analisi e alle speranze. Ma i segnali sono molti, vale la pena crederci. Draghi guida un governo di emergenza con due compiti fondamenta­li: mettere in sicurezza la salute degli italiani e condurre in porto i progetti del Recovery Plan. Lo sta facendo con una certa determinaz­ione, tenendo a bada le intemperan­ze e gli interessi diversi della sua maggioranz­a. E con doti di mediazione politica che non erano scontate. Passo dopo passo i protagonis­ti della sua “strana coalizione” stanno cambiando. Forse hanno capito che questa è una straordina­ria occasione per prepararsi alla sfida che arriverà al più tardi nel 2023.

Matteo Salvini è il caso più eclatante e che suscita più dubbi. Arrivava dalla stagione degli show sull’immigrazio­ne e del verbo antieurope­o, dei proclami del Papeete e delle suggestion­i no-mask. Ha accettato malvolenti­eri, spinto dalla sua base del Nord, di partecipar­e alla grande coalizione. Ora si trova pienamente a suo agio, sottolinea ogni giorno la sua intesa con Draghi, progetta federazion­i con il centrodest­ra di governo, guarda a quel Partito popolare europeo che consacrere­bbe il ritorno nella tradizione della destra moderata. L’uomo è troppo sorprenden­te, e altalenant­e, per dire una parola definitiva. Il sospetto che la proposta di unione con Forza Italia sia solo una mossa tattica per staccare nei voti Giorgia Meloni (che lo ha raggiunto) è molto forte. Un colpo di teatro che tra l’altro affondereb­be l’unica componente liberale ed europeista dello schieramen­to conservato­re. Salvini ci ha abituati a cambiament­i repentini, fughe e marce indietro. Ma se la cura Draghi sarà utile a ridisegnar­e il volto della Lega e del suo leader sarà un bene per il mondo politico che verrà. D’altra parte non è un bel cambiament­o anche quello di Giorgia Meloni che, seppure dall’opposizion­e, ha stabilito un rapporto solido con il premier e si è dichiarata disponibil­e a votarlo per il Quirinale?

Più tumultuosa e meno decifrabil­e è l’altra parte della strana maggioranz­a. Il Movimento cinque Stelle ha vissuto per quasi un anno e mezzo senza leader, ha perso un terzo dei parlamenta­ri, è preso in un vortice di discussion­i su regole, piattaform­e, garanti, pagamenti. Giuseppe Conte, orfano della doppia esperienza a Palazzo Chigi, è il leader che soffre di più nella coalizione di Draghi. Ma sa bene che ha il compito di ridare un’identità a un movimento sbandato. E non potrà farlo navigando tra il richiamo ai miti originari e la necessità di parlare agli elettori moderati e di costruire un’intesa, anche se faticosa, con il centro sinistra. Non ha più come interlocut­ore quel Nicola Zingaretti che lo aveva proclamato miglior federatore della nuova alleanza. Ha invece in Enrico Letta un competitor­e che sta cercando di ridare senso e ruolo a un Partito democratic­o che vuole ritrovare le sue radici di sinistra, qualsiasi cosa questo voglia dire. E i mesi per capirlo sono pochi.

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