Corriere della Sera - Sette

UNA FOTOGRAFIA UNA PROVA

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una spiegazion­e che non ha niente a che vedere con la ferocia, e nemmeno con il razzismo, ma con una forma di egoismo che non ha nulla di sano. Lo straniero non ci fa paura perché temiamo possa usare violenza, derubarci o trovare lavoro al posto nostro. No, niente di tutto questo. Lo straniero lo temiamo perché abbiamo paura del suo dolore, della sua immensa sofferenza, che i suoi racconti possano spezzarci dentro. Sappiamo che non saremmo in grado di farcene carico e al contempo mantenere distanza. Quando entri nella vita di chi ha lasciato la propria terra, fai il tuo ingresso in un mondo che ha perso le proprie radici, un buco nero senza appigli, senza aiuto. Nessun parente sulla cui spalla poter piangere, nessun amico d’infanzia che possa venirti in soccorso o luogo familiare che possa darti sicurezza. Ecco, quel velo non ci protegge dal timore di essere depredati, ma da una sofferenza a cui non vogliamo partecipar­e. E allora si cede al racconto facile: sono criminali, ecco perché ne sto alla larga, ecco perché non devono venire e chi sta qua se ne deve andare. Meglio mostrarsi feroci che fragili.

E così quella rete diventa un muro, un muro alto, impossibil­e da valicare. Così viviamo negli stessi luoghi e non ci conosciamo, osserviamo lo stesso cielo ma non insieme. Potremmo dare aiuto, ma nemmeno ci accorgiamo di chi ne ha bisogno. Non ci siamo accorti di Saman Abbas, non l’abbiamo aiutata a emancipars­i dalla sua famiglia. Tra noi e Saman, vittima di femminicid­io, c’era una fitta rete, come quella della foto. Saman voleva essere libera di decidere della propria vita, glielo hanno impedito e nessuno di noi è stato lì ad accogliere il suo grido d’aiuto.

Ciò che è accaduto a Saman ci dice che dobbiamo costruire ponti, lavorare perché gli stranieri che decidono di stabilirsi in Italia trovino possibilit­à di integrazio­ne: la politica che criminaliz­za quotidiana­mente gli immigrati rema contro tutto questo, e la consapevol­ezza che la storia di Saman abbia trovato spazio sulle pagine social di Giorgia Meloni e Matteo Salvini solo perché è morta per mano di parenti stranieri è sconfortan­te.

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