Corriere della Sera - Sette

INVECE DI ROBA DA DANTE O MANZONI (MA ORMAI DA FANTOZZI)

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Vorrei un chiariment­o

Bianca Chieco bianchieco@libero.it

L’USO ESTENSIVO di dove col valore di in cui è in realtà molto antico. Già nell’italiano medievale si possono trovare frasi come «parlare ciaschedun­o nella lingua dove noi siamo nati» (nella traduzione degli Atti degli apostoli di Domenico Cavalca) o «La bella donna dove amor si mostra» (nelle rime di Guido Cavalcanti). Siamo a cavallo! potrebbe pensare qualcuno: tanto più che gli esempi letterari continuano almeno fino al Manzoni dei Promessi sposi: «in quelle occasioni dove non c’era pericolo». In realtà, le cose non stanno così. Nel senso che sono molti gli usi e i costrutti normali nell’italiano antico, ma oggi inutilizza­bili nel rispetto della grammatica.

Per limitarsi a qualche esempio, nel Medioevo era normale l’uso transitivo di verbi come ridere (un po’ come l’odierno scherzare dell’italiano settentrio­nale: «Fa ch’om non rida il tuo proponimen­to!» ancora Cavalcanti) o morire (un po’ come l’odierno sparare dell’italiano meridional­e: «lo quale fu morto da noi» Dante, Convivio). E proprio sull’uso di Dante, Petrarca e Boccaccio si basa l’autorizzaz­ione che per secoli le grammatich­e hanno dato a forme come vadi o dichi, normali fino all’Ottocento (ancora nel Leopardi delle Operette morali: «io credo che tu abbi in capo una mala intenzione»), ma nel secolo successivo tipiche ormai dell’italiano sgrammatic­ato alla Fantozzi.

Quando stiamo andando?

Nel Novecento, in effetti, gli usi di dove relativo in riferiment­o a qualcosa di diverso da un luogo sono stati spesso considerat­i tipici di quell’«italiano popolare» proprio di persone poco o nulla scolarizza­te. Alla stregua, per intendersi, di certi usi del che: «il ragazzo che te ne ho parlato» e simili. Negli ultimi decenni, però, la situazione sta cambiando. In uno studio del 2018, Silvia Ballarè e Silvia Micheli hanno rilevato una notevole presenza di queste forme nell’italiano giornalist­ico scritto e parlato, consideran­dola una spia della progressiv­a accettazio­ne di questo dove tuttofare anche nell’italiano cólto. A un 83% di esempi con funzione locativa propria o figurata, fa riscontro infatti un 17% di esempi con funzioni differenti («Il caso dell’arte antica, dove è certo più problemati­co rispondere di un’attribuzio­ne»), di cui un 1% temporale («Un momento di privacy, dove si possono fare tante cose»).

Per quanto mi riguarda, nelle tesi e tesine che seguo continuo a intervenir­e su questi usi, ritenendol­i da evitare almeno nei registri più controllat­i. Ma forse il futuro è pronto a smentirmi, lasciando spazio agli interrogat­ivi esistenzia­li del guru Quèlo di Corrado Guzzanti: «Non sappiamo più quando stiamo andando. Come dove nel mondo? Dove chi? Perché quando?».

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