Buffalo Bill, mito Usa adorato in Europa (ma in Italia perse la sfida con i butteri)
William Frederick Cody, età diciotto anni, nato a Scott County, nello Iowa; occupazione, conducente di carri; occhi e capelli castani; statura, cinque piedi e dieci pollici», ovvero un metro e 77. Così suona il documento di arruolamento (19 febbraio 1864) di colui che è destinato a diventare il prototipo dell’eroe western, Buffalo Bill. Siamo in piena Guerra civile tra unionisti del Nord e confederati del Sud, divisi sulla questione della schiavitù. Prima ancora di diventare cacciatore di bisonti, che gli meriteranno il soprannome di Buffalo, Bill combatte nelle schiere dell’Unione e compie audaci missioni di spionaggio nel campo avverso. Braccato dai confederati, riesce a sfuggire a un loro drappello, che astutamente inganna ordinandogli di mettersi all’inseguimento… di un infiltrato nemico! Ma come le tante leggende che costellano il firmamento del Far West, Bill è anche un eccellente pistolero. Le ballate ne celebrano l’abilità di cacciatore che procura cibo ai lavoratori della Kansas Pacific Railway (una delle tante compagnie ferroviarie che realizzano l’unità di un Paese ancora troppo simile a un mosaico di Stati): «Buffalo Bill non ha mai sbagliato un colpo e mai lo farà; mira e spara per uccidere e la Compagnia lo paga bene».
Il mito non tarda a oltrepassare l’Atlantico. Lo ritroviamo sulla bocca di uno strano marinaio che catechizza Leopold Bloom e Stephen Dedalus nella notturna Dublino del 1904 in cui si svolge l’Ulisse di Joyce. In quegli anni, d’altra parte, l’ex conducente di carri, ex soldato, ex spia, ex cacciatore, ex pistolero e ora attore in carriera gode a impersonare se stesso sulle piste da circo d’America e d’Europa. Mr Cody è ormai passato alla storia dopo le epiche imprese delle guerre indiane. Il 17 giugno 1876 il 7° cavalleggeri comandato da George Armstrong Custer era stato massacrato lungo il fiume Little Bighorn; un mese dopo, mentre sta precedendo come esploratore (scout) le truppe del colonnello Wesley Merritt, Buffalo
Bill intercetta una banda di Cheyenne. Riconosciutolo, il capo indiano Yellow Hair (Capelli Gialli) lo sfida a duello. Nello scontro il guerriero Cheyenne perderà la vita, mentre Buffalo Bill «balza sopra il cadavere dell’avversario, e con pochi, precisi colpi di coltello gli toglie lo scalpo brandendolo come un trofeo al grido di: «Il primo scalpo per Custer!». Sarà l’ultimo indiano ucciso da Buffalo Bill da quel momento al termine della campagna militare».
Traggo questa descrizione dal bel libro di Pier Luigi Gaspa Buffalo Bill. L’uomo, la leggenda, il West (Imprimatur). Come ricorda Gaspa – biologo e studioso di vari generi letterari, in particolare del fumetto – questo episodio doveva alimentare ulteriormente la leggenda: per un equivoco forse non del tutto innocente, la vittima di Cody, Yellow Hair, è stato scambiato per un altro capo indiano ben più prestigioso, Yellow Hand (Mano Gialla). Sicché l’impresa del nostro si troverà «esaltata e ingigantita a dismisura, diventando un lungo, epico corpo a corpo», tanto da costituire uno dei momenti centrali del Wild West Show, «lo spettacolo del selvaggio West» del Buffalo Bill attore e impresario di se stesso. Era stato uno scrittore come Mark Twain a dire che quella grandiosa messa in scena faceva «respirare l’aria libera e selvaggia delle Montagne Rocciose», come se evocasse «un antico canto di guerra». Ed entusiasticamente confidava a Cody: «Tutto quanto si vede nel vostro spettacolo, cowboy, indiani, esploratori, diligenza, corrieri del Pony Express, è rigorosamente autentico».
Su questa autenticità Gaspa – come altri autori – esprime legittimi dubbi. Ciò, comunque, non impedì a Buffalo Bill, fin dagli anni Ottanta dell’Ottocento, di far girare lo spettacolo per tutti gli Stati Uniti, e di portarlo oltre Atlantico di lì a poco. In occasione del giubileo della regina Vittoria, che festeggiava il cinquantesimo anno di regno, lo show di Buffalo Bill non solo spinge la sovrana a rompere il lutto che osserva dalla morte del marito, ma
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