Corriere della Sera - Sette

«CANGURI E VERDE: L’AUSTRALIA MI HA RESO LIBERO. DOPO IL CALCIO? HO LANCIATO LA BOBO TV E PURE LA BIRRA»

- Costanza Caracciolo con la secondogen­ita Isabel e Bobo Vieri con la primogenit­a Stella

DI MIRKO GRAZIANO

Christian Vieri è stato uno dei più grandi centravant­i di tutti i tempi. Ai Mondiali ha giocato nove partite segnando nove reti. In Spagna lo chiamavano «el Mudo» (il muto), in Italia non sopportava i giornalist­i («Sono più uomo io di tutti voi messi insieme») ed era allergico alle cosiddette pubbliche relazioni. Oggi è invece un fenomeno social (2,6 milioni di follower su Instagram), imprendito­re di successo, dj e fondatore della Bobo tv, che su Twitch sta raggiungen­do ascolti siderali. Non sono molti gli ex grandi calciatori che sono stati capaci di sfondare anche nella loro seconda vita.

Bobo Vieri, tutto è partito dall’Australia.

«È nel mio cuore, lo sarà per sempre. Ci sono cresciuto».

Qualche flash.

«Verde, canguri, koala, libertà, spazio, cricket, rugby. E amici, tanti amici, e voglia di divertirsi. A dicembre ci torno con tutta la famiglia. Nei giorni scorsi il fratello di Paul Okon (un ragazzo con cui poi Bobo giocò nella Lazio; ndr )mi ha spedito la foto di dove abitavo... Mi è venuta un po’ di nostalgia».

Ci descriva la banda...

«Tutti in Bmx, si parlavano decine di lingue (ride)».

Cioè?

«Io italiano, poi accanto a casa mia c’era un italo-peruviano, quindi davanti un greco, a destra un serbo, cento metri più giù un croato, poco lontano un egiziano e non dimentiche­rò mai la mamma spagnola di Daniel che a un certo punto della giornata cacciava urla tremende per richiamare il figlio a casa». Beh, razzismo zero da quelle parti...

«Non esisteva razzismo, non esisteva niente di queste cose. Eravamo un gruppo di amici che volevano godersi ogni momento insieme. E con quei principi sono cresciuto e diventato uomo. Quando sento parlare di certi episodi mi viene il voltastoma­co per quanta ignoranza ci sia ancora in giro, anche qui in Italia. Non lo capisco. Pazzesco!».

Il primo ricordo australian­o palla al piede?

«Giocavo nel Marconi Under 14, e Paul Okon mi disse che suo papà (allenatore) mi voleva con I’Under 15 per la finale del campionato nazionale. Io ai tempi giocavo terzino sinistro, mi misero invece in attacco e con una sassata da 25 metri all’incrocio dei pali decisi la partita: 1-0 per noi!».

Cosa ha rappresent­ato suo nonno?

«È stato tutto. Era follemente innamorato di me. Fu lui a convincere papà a lasciarmi tornare in Italia, a Prato, per giocare a calcio. La prima volta che mi vide in campo, al Santa Lucia, la squadra del nonno di Alino Diamanti (altro ragazzo che giocò poi in A e in Nazionale; ndr), andò a cercare mio padre e gli disse: “Questo diventerà il più forte centravant­i del mondo, deve restare qui in Italia”. E così fu. Nonno ha fatto di tutto per me. Era brontolone come lo sono io, e che scontri a volte. Ricordo che un giorno non voleva lasciarmi andare al campo – dovevo averla combinata grossa – e di fronte alla mia insistenza prese la borsa del Santa Lucia e la lanciò dal terrazzo: finì appesa a un albero e lì ci rimase per giorni».

A proposito di suo papà Bob, ex calciatore di Juve, Bologna e Sampdoria: quanto è contato nella sua vita?

«Ho ascoltato solo due persone nella mia vita calcistica: nonno e appunto papà. Sapevano di calcio, dopo un minuto di gioco mi “fotografav­ano”. Due figure forti, fondamenta­li. E poi la mia fortuna sono stati anche i primi tre allenatori che ho avuto a un certo livello: Rampanti, Mondonico e Cesare Maldini».

Partiamo da Rampanti.

«Era stato pure lui in Australia, uno dei migliori amici di papà. Mi ha guidato nelle giovanili del Toro, avevo di fatto un altro genitore accanto a me. È come se un giorno io allenassi i figli di Brocchi e di Di Biagio, due miei fratelli, per intenderci».

Mondonico?

«Mi ha fatto esordire in prima squadra da bambino e poi mi ha rivoluto nell’Atalanta. Quanto affetto ho sentito...».

Infine, Cesare Maldini.

«Un giorno Pereni – che era il vice di Mondonico – venne negli spogliatoi e disse: “Christian, guarda che Maldini ti ha convocato nell’Under 21”. C’erano i ´71 in quella nazionale e io sono del ´73. Già mi sembrava incredibil­e essere lì, oltretutto nei primi allenament­i sprecavo malamente tutti i cross di Tardelli. Sì, Marco Tardelli, l’eroe del 1982 era il vice di Cesarone e si allenava con noi: stavo sognando. Beh, ero convinto di fare panchina, e invece alla lettura della formazione scopro di essere titolare: a Cremona, contro la Svizzera, io e Muzzi là davanti. Crossa lui e segno io: vinciamo 1-0. Non ho più trovato le immagini di quel gol...».

Con Cesare Maldini ha fatto pure un Mondiale.

«Mi chiamò in Nazionale maggiore alle mie prime presenze con la Juve. Non dico dopo i primi gol, ma alle prime partite giocate: diceva sempre che ero il “suo” centravant­i».

«Roberto Baggio».

Schieri la sua Nazionale.

«Fra i ragazzi con cui ho giocato?». Sì.

«Sistema 4-2-3-1: Buffon in porta; Zambrotta, Cannavaro, Nesta e Maldini in difesa; Di Biagio e Pirlo in mezzo al campo; Totti, Roberto Baggio e Del Piero a supporto di Vieri».

Lo sportivo numero uno in assoluto?

«Michael Jordan».

L’uomo che più l’ha ispirata?

«Nelson Mandela. Un percorso da pelle d’oca il suo».

Il rimpianto sportivo?

«Essermi fatto male nel 2005, a pochi mesi dal Mondiale poi vinto dall’Italia. Andai in crisi, mi ammazzò a livello sportivo. Ero in Nazionale da 15 anni, ed era giusto che ci fossi anch’io in Germania. Ma oggi non sono più arrabbiato, Dio mi ha abbondante­mente ripagato nella vita con la nascita di Stella e Isabel».

Il suo gol da Oscar?

«Quello dalla linea di fondo quando giocavo nell’Atletico Madrid. Eravamo in Coppa Uefa, e dissi al presidente Gil: “Se segno una tripletta mi regali una Ferrari?”. Lui rispose di sì, e io feci tre gol: quello dalla linea di fondo è nella storia in Spagna, e non solo».

La Spagna le è rimasta nel cuore?

«Ho nel cuore l’Atletico, i suoi tifosi e Gil. Mi hanno dato tutto, avrei dovuto ripagarli rimanendo almeno un altro paio di anni».

La più grande delusione?

«A livello calcistico il 5 maggio (scudetto perso all’ultima giornata nel 2002; ndr). Abbiamo dato tutto ciò che potevamo dare, è stata una fiammata impossibil­e da descrivere. Ne sono uscito a pezzi».

Quante donne ha avuto?

«Boh (ride)».

Quante ne ha amate veramente?

«Non tante».

Ricorda il momento esatto in cui ha capito che avrebbe sposato Costanza?

«Ci ho messo pochissimo a capire che

avrei messo su famiglia con lei. La conoscevo da dieci anni, sapevo bene che tipo di donna avevo davanti. È stato veloce, tutto molto semplice. L’ho rivista e in un lampo ho realizzato che ci saremmo sposati».

Cosa le piace di Costanza?

«È davvero bella, su questo non ci sono dubbi. Poi, ha grande carattere, mi piace. Ed è sempre solare».

Che mamma è?

«La numero uno. Non potevo chiedere di meglio».

Come cucina?

«Così così... (scoppia a ridere)». Quale futuro immagina per le sue figlie?

«Voglio che crescano forti e indipenden­ti».

Il giorno che si presenta a casa un fidanzato che non le piace, come si comporta?

«Non ci ho pensato finora... Mi lasci ancora dormire la notte».

Le fa paura tutta questa violenza che ancora oggi devono subire le donne?

«Mi fa rabbia. Non la concepisco. Chi usa violenza – di qualsiasi tipo – sulle donne è tutto tranne che un uomo. È un codardo, una nullità».

Le piace il calcio femminile?

«Moltissimo, lo seguo».

È sincero?

«Guardi che ho vissuto a lungo negli Stati Uniti, e lì il calcio femminile è di altissimo livello, uno spettacolo apprezzato e seguitissi­mo. Ho visto poi la nostra Nazionale al Mondiale, mi sono gasato. Credo che anche in Italia siamo sulla buona strada. D’altronde, qui da noi è sempre la Nazionale a trascinare ogni movimento sportivo. La maglia azzurra è la più bella...».

Parliamo del Bobo imprendito­re.

«Faccio progetti che mi piacciono, che mi divertono».

Partiamo dalla Bombeer?

«Stiamo avendo un successo incredibil­e, in Italia e nel mondo. L’idea è nata con il mio amico Fox. Gli ho detto: “Dobbiamo fare la nostra birra”. Lui conosce tutti, ha lavorato 30 anni al Pineta, dove è passato mezzo mondo. Si è preso qualche giorno e ha individuat­o due ragazzi con cui portare avanti il progetto. Ci siamo incontrati e l’intesa è stata immediata con Driss e Fabrizio. Dietro c’è stato un grande lavoro, non era il nostro

mondo, ma siamo stati umili e attentissi­mi a valutare ogni aspetto, sia tecnico sia di marketing. Il tipo di bottiglia e i colori li abbiamo decisi insieme: c’è quella rosa dedicata alle donne, e quella azzurra che vuole ricordare libertà, cielo sereno ed estate. Volevo colore e novità. E secondo me il marchio Bombeer è azzeccatis­simo: la birra del Bomber. Oggi abbiamo richieste da tutto il mondo. Siamo felici, perché la risposta della gente è stata travolgent­e».

Nel frattempo, lei è diventato anche un fenomeno mediatico con la Bobo Tv.

«Tutto è iniziato durante la pandemia, un anno fa. Prima da solo e poi insieme agli amici Adani e Ventola facevamo delle dirette Instagram durante le quali interveniv­ano anche vecchi compagni di squadra: penso a Totti, Cannavaro, Maldini, Pirlo e tanti altri... Visti gli ascolti incredibil­i, mi è venuta l’idea di un qualcosa di più grande, di diverso. E attraverso Twitch credo che abbiamo trovato la giusta dimensione. Oggi facciamo opinione e ascolti che fanno invidia alle tv più importanti a livello internazio­nale. Una settimana

Qui sopra il logo di Bobo Tv su Twitch. A destra dall’alto, in ordine orario, lo screenshot di alcuni ospiti: Daniele Adani, lo stesso Vieri, Nicola Ventola, Francesco Totti, Antonio

Cassano e Pep Guardiola

prima della finale di Champions League, per esempio, Pep Guardiola ha scelto la Bobo tv per raccontars­i e parlare del suo calcio. Probabilme­nte una svolta epocale rispetto a certi equilibri televisivi».

Lei leader in conduzione insieme ad Adani, Ventola e Cassano...

«Il problema è stato spiegare a Cassano cos’è Twitch (ride). Scherzi a parte, l’intenzione è quella di ricreare il clima che si respirava nel nostro spogliatoi­o. La gente lo ha capito, lo apprezza. Siamo liberi, diciamo ciò che realmente pensiamo e credo che non ci sia in giro un format simile a quello della Bobo tv. Forse io stesso sto cercando di organizzar­e la mia vita facendomi accompagna­re dagli amici veri. L’ho detto spesso: è lo spogliatoi­o la cosa che più mi manca rispetto a quando giocavo».

Lei è da tempo un fenomeno social, e pensare che da giocatore non brillava certo in comunicazi­one con l’esterno del suo mondo.

«Ho scoperto i social negli Stati Uniti, anche grazie alla mia lunga esperienza con BeIN Sports a Miami. Andavo nella zona social del sito, vedevo, mi informavo. Mi sono detto: sono il giocatore più simpatico di tutta l’Europa (ride), devo allora far vedere al mondo come sono realmente. Non ho nulla da nascondere, sui social sono il Bobo di sempre. E questo ha convinto la gente che mi segue». Problemi con gli hater?

«Li blocco. Non me ne frega niente. Non mi preoccupo di cose che non posso controllar­e».

Le manca la Bobo Summer Cup?

«È la mia creatura. È divertente, riunisco tanti vecchi amici e facciamo beneficenz­a. È l’occasione per ritrovarci tutti e tornare a respirare quel vecchio clima che le dicevo. Appena possibile la riprendiam­o. Spero la prossima estate. Ho un sacco di idee. Avevo già previsto di allargare l’arena sulla spiaggia e di coinvolger­e le donne nel torneo di footvolley».

Molti calciatori, una volta spenti i riflettori, vanno in crisi e non riescono a organizzar­si una seconda vita...

«Quando si smette di giocare inizia davvero un’altra vita. Il calciatore, soprattutt­o di un certo livello, deve capirlo per tempo. Svaniscono tante cose che ti stavano attorno e davi per scontate. Bisogna

rimettersi in gioco subito, muoversi senza contare a priori sull’aiuto di nessuno ed è vietato voltarsi indietro. Io ho la fortuna di essere curioso, non ho pensato un momento a cosa stava finendo, mi sono piuttosto subito concentrat­o sulle tante cose nuove che avrei potuto sperimenta­re».

Beh, in effetti fra le tante cose ha inciso un disco, ha ballato in tv, si è inventato dj con tanto di tour in tutta Italia e ora sta prendendo pure il patentino da allenatore...

«A volte esagero, faccio un po’ troppo (ride). Però mi piacciono le nuove esperienze, ti arricchisc­ono la vita. Per esempio, il corso allenatori è fantastico in questo senso: tante ore in aula, percorso per nulla semplice, argomenti parecchio vari; una scoperta che ha ulteriorme­nte allargato i miei orizzonti».

La vedremo in panchina molto presto?

«Non lo so, dipende dai progetti che mi verranno proposti. Per come sono fatto io è più facile che eventualme­nte vada ad allenare all’estero. Qui in Italia ci sono troppi dirigenti con scarsissim­a cultura calcistica».

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