LA POPOLAZIONE DEL TIGRAY FUGGE, PERDE TUTTO, RISCHIA LA FAME C’È QUALCOSA CHE IO POSSO FARE?
plificano. Avere una sofferenza accanto a noi, non ci impedisce di vederne una lontano da noi. Vorrei dirvi del perché io trovi questa foto bellissima: i diversi piani che ritrae, la tragica dinamicità dello sguardo della donna in primo piano, che ha un volto fiero, smunto e fiero. Il fuoco e la terra rossa, le tende sullo sfondo, il bimbo accovacciato, sfocato anche se colto in un momento di immobilità. Sì, vorrei dirvi quanto sia interessante analizzare questa foto, ma non posso, perché mi interessa solo il racconto di ciò che ritrae: una comunità costretta a lasciare le proprie abitazioni, in Etiopia, a causa di violenza interetnica, per sfuggire al conflitto e alla morte. Fuggi dalla morte ma perdi tutto. Questo racconta la foto che ho scelto di mostrarvi. Perdi tutto, e il resto della tua vita lo passi a provare a mettere assieme i cocci, letteralmente. A ricostruire una quotidianità che possa risultare accettabile.
Il Tigray è una regione dell’Etiopia settentrionale in cui centinaia di migliaia di persone vivono a rischio carestia, un’emergenza di fase 5, una vera e propria catastrofe che, se non arriveranno aiuti umanitari causerà altri morti. Altri perché questa situazione è la conseguenza di un sanguinoso conflitto iniziato a novembre 2020 tra l’esercito etiope e le milizie legate al Fronte di liberazione del Tigray (TPLF). Secondo l’Unicef, la Fao e il Wfp, se l’Occidente ricco non si fa carico della catastrofe del Tigray, le condizioni di vita per chi ha trovato riparo in abitazioni di fortuna saranno sempre più insopportabili.
E poi ci sono libri da cui, una volta letti, non ti riprendi. Tra questi per me c’è La fame di Martin Caparrós, che è la storia di un fallimento perché la parola fame, e anche il concetto che veicola, è talmente usurato che è difficilissimo riuscire a vederlo con uno sguardo nuovo superando luoghi comuni spesso non dettati né da ignoranza, né da cattiveria, ma dall’osservazione che parte dalle nostre esperienze quotidiane. La mattina mi sveglio, mi alzo dal letto, controllo il cellulare e se tutto è in ordine vado in bagno o in cucina, apro il rubinetto e faccio scorrere l’acqua, perché sia abbastanza fresca per poterla bere. Se questo posso farlo io, penserò, possono farlo tutti. No?