JIM MORRISON CHE DAL PALCO URLAVA: «SVEGLIA!» LO SCIAMANO CON IL Q.I. A 149
«La vera poesia non dice niente, elenca solo delle possibilità, apre tutte le porte, e voi potete passare per quella che preferite». Il cantante dalla voce unica e sensuale, il grande performer che cantando con i Doors metteva in scena con tutto il suo corpo la disperazione del vivere, in realtà avrebbe voluto essere riconosciuto prima di tutto come un poeta. E spesso a 15 anni marinava la scuola, che gli andava stretta forse proprio in forza del suo alto quoziente intellettivo di 149, per frequentare i locali beatnik di San Francisco, fra cui la celebre libreria City Light Books del poeta Lawrence Ferlinghetti, cuore californiano della controcultura Usa. Da allora le letture di Jim Morrison divennero sfrenate, portandolo ad accumulare centinaia di libri. E di appunti, di scritti, di illuminazioni che spargeva su foglietti volanti e diari.
Con la sindrome del padre ammiraglio e un’idiosincrasia per l’uniforme, Jim arrivò presto a dichiararsi orfano pur di non dover interloquire con la famiglia: «Sono sempre stato attirato dalle idee di ribellione contro l’autorità. Quando ti riconcili con l’autorità, diventi tu stesso un’autorità».
Complessa figura di intellettuale psichedelico, mischiò culture e linguaggi — dalla cultura classica, a quella sciamanica e tribale, dall’esoterismo, alla narrativa, alla filosofia — fino a diventare il profeta principe della sua generazione e vittima perfetta del sogno di una gioventù che voleva cambiare il mondo. Folgorato da Jack Kerouac, patito di Arthur Rimbaud e Friedrich Nietzsche, era convinto che «il
Poeta si fa Veggente attraverso una lunga, immensa e ragionata sregolatezza di tutti i sensi».
Il suo furore per una ricerca intellettuale oltre i limiti lo trasferì intatto nella musica quando incontrò il tastierista Ray Manzarek e fondò con lui i Doors, di cui diventò frontman urlando Sveglia! dal palco, consumato dalla voglia di libertà assoluta per sé e per tutti, con successo immediato: nel 1967 il loro primo disco vendette quasi quanto il Sgt. Pepper’s dei Beatles. Ricorda Frank Lisciandro, fotografo e suo amico dai tempi dell’Ucla, università di Los Angeles: «In scena Jim subiva una completa metamorfosi: la sua voce dolce e garbata diveniva roca, aspra, profonda e potente; la sua posa dinoccolata si faceva arrogante, baldanzosa; il suo quieto volto si trasformava in migliaia di maschere di tensione e di emozione. Con sguardo chiaroveggente Jim sembrava scrutare sia nel futuro sia nel passato. Si muoveva come un indiano d’America in una danza rituale».
L’alcool, le droghe lo consumarono velocemente e presto la sua fu una corsa verso la distruzione: i concerti erano trionfi e disastri in continua miscela, ad Amsterdam svenne sul palco, a Miami fu accusato di atti osceni, a New Orleans crollò più volte biascicando parole incomprensibili. Sempre «fedele ai suoi demoni». La sua ansia di autentica diversità si placò solo con la morte per abusi vari il 3 luglio 1971 a Parigi: entrò dritto nella leggenda con la maledizione dei 27 (i fuoriclasse morti a quell’età fatale), con relativa scia di complotti e dubbi su quella morte surreale in un albergo parigino.