Corriere della Sera - Sette

IL DIRITTO DI VOTO A 16 ANNI, L’AUTONOMIA SEMPRE PIÙ TARDI TIRO ALLA FUNE SUI RAGAZZI

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Chiunque abbia un figlio lo sa: da un certo punto in poi, anche solo pensare di poter decidere al suo posto è un’utopia. Si può discutere il quando, ma non il se. E però il quando è importante, perché a seconda di dove lo fissiamo – 14 anni? 16? 18? – ne discendono una serie di conseguenz­e per noi genitori, non solo etiche ma perfino giuridiche.

Sappiamo che, per una convenzion­e legale, abbiamo fissato ai diciotto anni il momento in cui svanisce la potestà genitorial­e. Ma, a differenza dell’età pensionabi­le che si allunga sempre più, l’età dell’innocenza si accorcia di continuo. I pre adolescent­i di oggi sono gelosi della loro autonomia più o meno quanto gli adolescent­i di vent’anni fa, e i ventenni di quarant’anni fa. Un esempio di estrema attualità ce l’offre il Covid.

Sui comportame­nti dei teenagers possiamo esercitare solo una forma più o meno blanda di moral suasion: essi dipendono completame­nte dalla loro coscienza, dal loro grado di informazio­ne, dalla loro maturità. E non solo nelle piazze della movida. Nessun padre e nessuna madre può imporre al figlio, anche se minorenne, di fare o non fare il vaccino. Per fortuna pare che tendano a farlo, non so se per senso di responsabi­lità o per conquistar­si un passaporto per l’estate. Ci sono anzi casi di ragazzi che si ribellano alle scelte no vax della famiglia e si rivolgono alla legge per potersi vaccinare a dispetto dei genitori. Ma potrebbe prima o poi manifestar­si anche il caso opposto. Che fare? Come deve comportars­i una famiglia? È giusto delegare a un’autorità esterna, dal giudice minorile a un eventuale “avvocato del minore”, decisioni etiche di questa rilevanza?

Non è un caso se il tema della maggiore età sta tornando d’attualità anche nel dibattito politico. Il segretario del Pd, Letta, vorrebbe dare il diritto di voto ai sedicenni e anticipare ai diciottenn­i un pezzo dell’eredità della generazion­e dei padri. Ma questo processo emancipato­rio, che in fin dei conti sembra replicare un andamento già conosciuto nella storia (la prima legge elettorale dell’Italia unita consentiva il voto solo ai maggiori di 25 anni e solo se pagavano le tasse), si scontra con una tendenza opposta della nostra società: l’allungamen­to a dismisura della età giovanile. I nostri ragazzi rivendican­o molto prima di un tempo il diritto di scegliere per sé. Ma ottengono molto dopo rispetto al passato quelle condizioni sociali – un reddito, un lavoro, una casa, una famiglia – che darebbero un contenuto ai diritti rivendicat­i.

Si moltiplica­no così tensioni e contraddiz­ioni nelle nostre famiglie. I figli vogliono decidere della loro vita, ma non hanno i mezzi per farlo senza il nostro consenso. E però se neghiamo il nostro consenso, rinfacciam­o loro la condizione di debolezza in cui la società li costringe, e ci infiliamo in un vicolo cieco di recriminaz­ioni e incomprens­ioni. Lo spirito del tempo esalta i giovani, cui non dovremmo “rubare il futuro”; ma poi lascia madri e padri soli a gestire il presente.

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