Corriere della Sera - Sette

CICERONE O IL VESCOVO? LA RAGIONE O LA FORZA? ALLE RADICI DELLA POLITICA

- Ottone di Frisinga (1109-1158) è stato vescovo cattolico e storico tedesco venerato come beato

Dei tanti giganti di cui parla la Bibbia Nimrod è forse il più importante: si pensava addirittur­a che fosse stato lui a ordinare la costruzion­e della Torre di Babele, ed è proprio a una torre che Dante lo paragona quando lo incontra in fondo all’Inferno, non lontano da Lucifero («torreggiav­an di mezza la persona / gli orribili giganti»). Certo è che, spietato e fortissimo, fu a capo di immensi imperi. Non stupisce perciò che molti autori medievali si interessas­sero alle sue imprese. Lo ritroviamo ad esempio nelle pagine di Ottone di Frisinga, oggi quasi dimenticat­o ma che fu comunque vescovo e consiglier­e imperiale nel XII secolo, e che si propose addirittur­a di scrivere una storia del mondo.

Come vivevano gli esseri umani, all’inizio dei tempi? Ottone aveva trovato ispirazion­e in un passo di Cicerone: gli uomini vivevano in uno stato selvatico, nutrendosi solo di cibi crudi, senza religione, leggi e neppure morale, come bestie violente insomma, fino a che qualcuno, un vir magnus et sapiens, un uomo grande e sapiente, con le sue parole li convinse ad abbandonar­e i boschi e vivere insieme. Così inizia la politica – con la parola, la ragione, l’intelligen­za. Ottone non pensava così. A unificare gli uomini, per lui, non fu un buon oratore, capace di parlare bene, bensì il terribile gigante e i suoi discendent­i, Belo e Nino, ancora più violenti di lui. Tutta l’Asia, scrive Ottone, fu portata all’ordine e a una vita comune – la politica, appunto – per opera della violenza, della conquista, dell’imposizion­e.

E se avesse ragione il vescovo medievale, piuttosto che il grande Cicerone?

Lo suggerisce Gianluca Briguglia in Bestiario politico (da poco pubblicato per Harper Collins e ricavato dall’omonimo podcast, uno dei migliori per chi s’interessa di filosofia e pensiero politico). Se fossero davvero la forza e l’imposizion­e, e non la ragione, – il gesto violento della conquista, insomma, non la parola pacificatr­ice – a mettere gli uomini insieme, ponendo le basi per una vita associata? In fondo questo insegna la storia biblica di Nimrod: ogni unione «implica una violenza costitutiv­a, la quale rimane ambiguamen­te al cuore di ogni vita associata, perché è sempre lì disponibil­e, pronta a scatenarsi, a diventare distruttiv­a e costruttiv­a, come la forza di un gigante invisibile».

Anche Thomas Hobbes sarebbe stato d’accordo: sul frontespiz­io del suo capolavoro, il Leviatano, compariva un gigante composto di tanti piccoli corpi, che saremmo noi, i cittadini. Siamo noi a dare vita al gigante (lo Stato), che è capace tanto di ordine – la forza che unisce – quanto di disordine – la violenza che distrugge. Quando s’interrogav­ano sul passato più remoto, questi pensatori stavano insomma indagando quel fondo oscuro e violento che si annida tra le pieghe del vivere sociale: c’è qualcosa di esagerato, eccessivo, dentro di noi, ed è proprio di questo che deve occuparsi la politica. Sono molto meno improbabil­i di quello che sembrano questi giganti.

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