Corriere della Sera - Sette

SERRACCHIA­NI IL FANTASMA DELLA CAMERA

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Ho visto Debora Serracchia­ni. Dal vivo. In carne e ossa. Era proprio lei. È successo l’altra mattina, a Montecitor­io. A metà corridoio si apre una porta ed esce una signora sui cinquanta, elegantina, scarpe basse, l’occhiata severa sotto la frangetta. Sensazione tipo: questa la conosco. L’ho già vista. Sì, ma come si chiama? Lei mi ha guardato, io l’ho riguardata. Un lampo. Santo Cielo, certo: Serracchia­ni! Eccola. Apparizion­e pazzesca. Dopo aver fatto di tutto (ma proprio di tutto, eh) per sedersi sulla poltrona di capogruppo del Pd alla Camera, era sparita. Letteralme­nte. Nel dibattito politico, nemmeno mezzo intervento non dico scomodo, ma degno di titolo: niente, zero carbonella.

Mentre va via e scompare di nuovo dietro l’angolo, penso: è il talento per il potere. O ce l’hai, o non ce l’hai. Lei ce l’ha. Sfrenato. Sa prendersel­o e, soprattutt­o, sa gestirlo. Del resto passò dall’inesistenz­a alla notorietà in tredici minuti. Tanto durò il suo intervento in quel pomeriggio del 21 marzo 2009, all’assemblea dei circoli del Pd. Salì sul palco per ultima, da segretaria del partito di Udine, in jeans e con i capelli a coda di cavallo: scese nella luce e tra gli applausi per aver fatto, tenendo il ditino alzato, la fondamenta­le riflession­e che il partito era «lontano dalla realtà». Ambiziosis­sima, comunicò subito di essere stata veltronian­a ma di ritrovarsi già molto vicina al nuovo capo dell’epoca, Dario Franceschi­ni. Così nel giugno 2009, alla ribalta da appena tre mesi, Friuli e NordEst persero la testa per lei. Fu la candidata europea più votata della circoscriz­ione non solo del Pd, ma in assoluto con 144 mila preferenze. Poi è stata renziana, molto vicina a Maurizio Martina, e quando, da neo segretario, Enrico Letta, a marzo, disse che per guidare i gruppi parlamenta­ri voleva due donne, lei alzò il celebre ditino: eccomi (era già vicepresid­ente del Pd, ma ovviamente non le bastava). Per sicurezza, nell’occasione fondò anche la quarta (o quinta?) corrente del partito, con Graziano Delrio, che era il capogruppo uscente.

Uno spettacolo. Sublime, feroce, spregiudic­ata conquista del potere per ottenere altro potere. Quando l’ho vista sparire nella penombra di Montecitor­io, confesso di aver anche pensato: forse potrei fermarla e chiederle qualcosa. Già: ma cosa?

Debora Serracchia­ni, capogruppo del Pd

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