NON SOLO OUTSIDER L’INTELLETTUALE EDUCA ALLA COMPLESSITÀ
Quale sia il ruolo degli intellettuali è un problema di cui ciclicamente si discute, più o meno polemicamente. Condizione imprescindibile sono l’autonomia e l’indipendenza di giudizio: un intellettuale asservito a qualche potere o interesse non sarebbe neppure tale. Ma come usare questa libertà? Per denunciare le ingiustizie e i conformismi del proprio tempo, si risponde di solito. Secondo Edward Said, l’intellettuale è un outsider, un contestatore sempre pronto alla sfida con la società, il nemico di pregiudizi e luoghi comuni. Come Socrate davanti ai giurati ateniesi, quando affermò orgogliosamente che mai avrebbe rinunciato alla sua libertà di dire e fare quello che riteneva giusto, «fino a che avesse respirato e potuto».
L’esempio di Socrate ha ispirato le azioni e i pensieri di tanti altri pensatori nel corso dei secoli, che come lui hanno avuto il coraggio di andare contro il proprio tempo, anche quando il rischio era quello della morte. Fine studioso di Socrate e Platone, Jan Patocka esitò quando Vaclav Havel gli propose di guidare il movimento dei dissidenti contro il regime comunista, ma alla fine accettò. Nel 1977 morì in carcere, per i postumi di un interrogatorio della polizia segreta cecoslovacca. Il prezzo può essere alto, ma la verità è una padrona che non ammette deroghe. «Sancte Socrates, ora pro nobis!», pregava Erasmo da Rotterdam, mentre intorno infuriava lo scontro tra Lutero e il Papa.
Non sempre però si vive in epoche tanto tempestose, in cui si tratta di opporsi, o cedere, a un’ideologia oppressiva. Il problema del nostro tempo è quello opposto: una molteplicità di idee, opinioni, teorie, valori contrastanti e la forte impressione di una confusione in cui riesce quasi impossibile orientarsi. Si pensa che la verità sia sempre una sola. Ma l’esperienza insegna che non è così. La perfezione non è di questo mondo. Il nostro problema è imparare a convivere e confrontarci con la complessità.
Ed è di questo problema che gli intellettuali devono occuparsi. Continuando a combattere per i propri principi e idee, opponendosi a quelli degli altri? La scelta è legittima, ma porta con sé il rischio di aumentare la conflittualità invece di ricomporla. In effetti, c’è anche un’altra opzione: promuovere una migliore comprensione delle diverse tesi in discussione. Favorire il confronto, insomma, interrogandosi sulle ragioni di ciascuna delle parti in causa. Come faceva Socrate quando, ammettendo la propria ignoranza, discuteva con i suoi concittadini, senza pregiudizi su chi avesse ragione e chi torto. È giusto combattere per le proprie idee, ma è anche giusto imparare a rispettare quelle degli altri, che non necessariamente sono un sintomo di ignoranza o, peggio ancora, la manifestazione di interessi indifendibili e indicibili. Educare alla complessità: è questa la sfida del nostro tempo. In fondo, è una forma di rispetto per le persone a cui ci si rivolge. Non masse che attendono di essere guidate, ma persone capaci di intendere e ragionare.
Da nove anni scrivo in italiano, senza dubbio una lingua che amo. Questa lingua mi ha chiamata, accolta e ispirata come nessun’altra. È diventata una lingua che parlo quotidianamente e con la quale esprimo i miei pensieri più intimi. Devo tanto ai miei lettori, presentatori, sostenitori, insegnanti, amici e critici italiani. Detto questo, la frase ricorrente — «Lahiri scrive nella nostra lingua» — fa sì che l’italiano rimanga per definizione una lingua altrui, non mia.
Sei anni fa, in Grecia, un mio amico mi ha regalato dai suoi scaffali la sua amata copia del Nuovo dizionario dei sinonimi della lingua italiana di Niccolò Tommaseo. Questo amico generoso sapeva che il mio rapporto determinante con l’italiano era partito grazie a un minuscolo dizionario italiano-inglese che portavo in giro, una volta, per comunicare. Ho sempre amato studiare i dizionari dei sinonimi, forse perché sono testi generativi: insistono sulla sostituzione, sulle parole anziché sulla parola, sulle lingue anziché sulla lingua.
Nel dizionario di Tommaseo, la voce lingua (che si trovo subito dopo libro e appena prima di luce) viene divisa in otto sezioni che contengono, ciascuna, una serie di citazioni e accezioni. Nella prima sezione, per distinguere lingua dal linguaggio, l’autore dice: «Lingua è la serie di quelle parole che sono adoperate nel medesimo senso da una società di uomini, e al medesimo modo costrutte». Continua: «Lingua,