ECCO I VOSTRI SVARIONI, ATTO II I PERICOLOSI “MALDIDENTI” E UN CAVAL DI NOME DONATO
LE PAROLE CHE CI RIPORTANO
alla dimensione dell’infanzia mettono sempre in moto un po’ di sorridente nostalgia. «Vi ringrazio di cuore per avermi data la possibilità di richiamare alla memoria piccole ilarità», scrive Angela, ricordando che sua figlia «chiedeva: “mi dai per favore un wafer”, e poi specificava sempre: “un wafer, non un water”, perché temeva che ci sbagliassimo».
Il potere mitico della lingua dell’infanzia è stato narrato con ironico acume nelle opere di Luigi Meneghello
(tutte in ripubblicazione per Rizzoli). E infatti tra le tantissime lettere che hanno continuato ad arrivare c’è anche quella di Giovanna, che cita proprio Libera nos a Malo, il primo libro di Meneghello (1963): «Io che ho avuto una nonna di Malo lo posso confermare». Cita quel libro anche Iolanda, che racconta: «Quando entrò in casa nostra la tv e i miei seguivano il telegiornale, ricordo che mi ritrovavo spesso a chiedermi: “Insomma, sta male o è morto/a?”. Ancora ho davanti agli occhi il faccione del giornalista che pronunciava le parole “Sta male è morto Tizio”. Solo parecchio tempo dopo scoprii che veniva data la tragica notizia: “Stamane …”». Le parole e i ricordi. Grazie all’articolo sui fischi per fiaschi, Daria si è ricordata che – ascoltando uno sceneggiato alla radio – era rimasta impressionata dai «cattivissimi “maldidenti”, che ne combinavano di tutti i colori (poi ho scoperto che erano “malviventi”)» e Maria Teresa che i giocatori della Sampdoria li chiamava «i bruciacchiati (blucerchiati), immaginando una maglia marroncina.
Strappa un gradino! Fischi per fiaschi,
ma anche fanti per elefanti. «Avevo un elefante di pezza da piccolo e gli adulti esclamavano: “Che bell’elefantino!”. Io capivo Lele Fantino, dato che a Cesena c’era l’ippodromo dove andavo a vedere le corse dei cavalli!» (Enrico). Metamorfosi animale, già: ma mutazione o mutuazione? «Mi trovavo in un ambulatorio in attesa di essere operato alle tonsille», scrive Guido, «e mia madre discuteva con una signora di mutua. Pensai che dopo l’operazione sarei rimasto muto, muto per sempre, e scoppiai in un pianto dirotto».
«So di bambini che aspettano il verde al “somarofo” e vogliono vedere in azione “il tergi di cristallo”», riferisce Giovanna. Una forma di memoria meno lontana è in effetti quella che riguarda le gesta verbali dei nostri figli. Quando mio figlio / mia figlia era piccolo/a … «chiamava le piccole auto “autoritarie”» (Angelo); «dopo aver più volte sentito: “A caval donato non si guarda in bocca”, mi chiese perché il cavallo si chiamasse Donato» (Anto); «raccordo anulare diventava raccordo lunare» (Sandro); «non capiva perché ai compleanni si cantasse: Apri Botte tuiù» (Lucio); «cantava “Com’è bello far l’amore con la testa in giù”» (Giuseppa). «Mia figlia ci sorprese con una enigmatica quanto perentoria frase: “strappa un gradino!”», racconta Leone: «cosa volesse intendere lo scoprimmo assistendo insieme allo spot di un noto aperitivo: “Stappa un Crodino!”». Figlie e figlie, certo; ma anche nipoti: quella di Antonio «chiamava “sorellacce” le sorellastre di Cenerentola e “cartoni animali” i cartoni animati» e quella di Donata intonava solennemente l’inno dei parrucchieri: «Capelli d’Italia, l’Italia s’è desta...».