Corriere della Sera - Sette

LA VIOLENZA DOMESTICA NON FINIRÀ SE NON CAMBIAMO NOI UOMINI

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stata, quella di giovedì 25 novembre, la giornata contro la violenza domestica? O è stata l’ennesima giornata delle promesse?

Purtroppo, i dati sulla violenza domestica, in particolar­e contro le donne, non sono buoni. Il numero degli omicidi è in leggera diminuzion­e; ma resta stabile se si consideran­o quelli in cui la vittima è una donna. La parola “femminicid­io” genera spesso reazioni di insofferen­za. Non sarà una bella parola. Ma è ancora peggio la sostanza. E la sostanza rimane questa: a dispetto delle parole, degli impegni, dei finanziame­nti, delle promesse appunto, ogni giorno migliaia di donne si trovano in pericolo, e non per strada al buio la notte; all’interno delle loro case, delle loro famiglie, tra le persone che dovrebbero essere le persone care.

Cosa possiamo fare per contrastar­e questa vergogna? È un fatto di norme; e quelle per il codice rosso, che aprono una corsia d’emergenza per le denunce delle donne, sono senz’altro positive. Ma la violenza domestica è innanzitut­to un fatto culturale. E la cultura non cambierà fino a quando noi uomini non ci renderemo conto che siamo proprio noi a dover cambiare. Perché la violenza sulle donne non è un problema delle donne soltanto; è un problema di noi uomini. Siamo noi che dobbiamo cambiare e far cambiare i violenti: coloro che

Ènon accettano un No o un Basta, un rifiuto o un abbandono; coloro che si consideran­o proprietar­i del corpo e dell’anima della donna, e non sono disposti a riconoscer­e la sacrosanta libertà della donna di uscire con chi vuole, di amare chi vuole, di sposare chi vuole. Fino a non molto tempo fa, in Italia esisteva il matrimonio riparatore: chi voleva una donna se la prendeva, e lei era moralmente obbligata dalla comunità e dalla famiglia a sposare l’uomo che l’aveva violentata. Il matrimonio cominciava con la violenza, e spesso nella violenza proseguiva. Fino a quando una giovane siciliana, Franca Viola, rifiutò il matrimonio riparatore, aprendo una via che tante altre donne non soltanto al Sud hanno seguito. Ora il problema si ripropone spesso nelle famiglie degli immigrati, dei nuovi italiani. Negarlo nel timore di passare per razzisti sarebbe un’ipocrisia inaccettab­ile (anche se è importante notare che nel 2019 l’ampia maggioranz­a dei femminicid­i è stata commessa da italiani). Non dobbiamo avere paura della verità. Lo dobbiamo alle nostre madri, che si sono emancipate attraverso un percorso decennale di coraggio e di riscatto. E lo dobbiamo alle nostre figlie e nipoti, che dovranno abitare un Paese e un mondo in cui non si farà più caso se il capo è maschio o femmina, ma se è competente o non lo è, se è onesto o non lo è, se è violento o non lo è. Questa sì è una promessa che dobbiamo fare a noi stessi; e che dobbiamo rispettare.

IERI, COME OGNI ANNO, È STATA LA GIORNATA DEI NUMERI

E DELLE PROMESSE... MA LA VERA PROMESSA

NON SONO NUOVE NORME E NEPPURE PIÙ FONDI

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