«DA GEOLOGO A SINDACO DI TORINO. E HO INIZIATO A FARE POLITICA GRAZIE A UN PRETE»
Ha rifiutato l’alleanza tra il «suo» Pd e i Cinque Stelle e ha vinto a sorpresa: «Ogni elezione fa storia a sé, però prima dell’alleanza bisogna pensare ai valori. Mio padre
è pugliese, sono un figlio degli Anni 70: questa città è sempre stata naturalmente aperta all’immigrazione»
tefano Lo Russo, 46 anni, è nato e cresciuto a Torino. Da un mese esatto è sindaco per il centrosinistra. Non era facile, questa volta. Sia perché l’avversario era dato in largo vantaggio in tutti i sondaggi, sia perché, a differenza di altrove, a Torino non è maturato l’accordo tra il Partito democratico e il Movimento cinque stelle proprio per la fiera opposizione di Lo Russo.
Ora si può dire: aveva quasi tutti contro, anche del suo partito.
«Ma siamo rimasti uniti. Abbiamo vinto
Sperché abbiamo creato una squadra locale che ha saputo interpretare al meglio il progetto che avevo in mente. Attorno alla squadra, si è creato un senso di appartenenza che ha fatto la differenza. Militanza e prossimità: uno stile valido per il centrosinistra».
Anche a livello nazionale?
«Non compete a me deciderlo. Ma certo sono valori propri della sinistra in generale».
Lei ha vinto senza accordi con i Cinque Stelle.
«È stata una scommessa. C’erano forti perplessità nel mio partito e il veto sul mio nome da parte del Movimento Cinque Stelle. Col senno di poi, l’analisi fatta da alcuni esponenti democratici era non centrata. Ma anche qui, non è un modello replicabile. Ogni elezione e ogni campagna elettorale fanno storia a sé. Di certo, un centrosinistra riformista deve mettere al centro i contenuti e prima ancora i valori, e attorno a quelli costruire un’alleanza. Non il contrario».
E quali sono questi valori?
«Coniugare lo sviluppo economico con la coesione sociale, l’economia di mercato con la solidarietà. E poi non si può non partire da una netta scelta europeista
«L’AVEVO PROMESSO IN CAMPAGNA ELETTORALE, PER FESTEGGIARE SONO SALITO SUL COLLE DI SUPERGA CON SERGIO CHIAMPARINO»
e atlantica. Partiamo da qui e poi condividiamo con i nostri interlocutori questa impostazione».
Si arrabbia quando le dicono che Torino è una città del sud? I numeri sono più simili a un capoluogo del meridione.
«Torino ha difficoltà sui dati macroeconomici, ma credo che – rispetto al sud – qui la ripresa sarà più veloce perché inserita in un ecosistema migliore. È una in transizione e, come tale, accentua i suoi contrasti. Tra eccellenze e debolezze». Quindi non si arrabbia?
«Diciamo che è uno stimolo per fare meglio».
In transizione verso dove?
«Verso la ricucitura della frattura che ora è evidente tra una città di eccellenze aperta e internazionale, e una in difficoltà. Se aumentano le possibilità e Torino diventa più vivace e dinamica, aumentano le opportunità per tutti».
Ma in concreto? Questa è una città in cui le fabbriche chiudono.
«Dobbiamo sfruttare bene i soldi del Pnrr. Per me è come se fosse benzina da mettere nel motore della macchina amministrativa, che va riattivata, potenziata e riorganizzata».
Ma per andare dove?
«A livello strategico guardo con molta attenzione allo sviluppo dell’idrogeno. Che, a differenza di altre filiere, non smantella l’indotto già presente sul territorio». Lei è contrario all’elettrico?
«La mobilità elettrica in questa fase dà grandi vantaggi per migliorare l’ambiente. Sul lungo periodo, però, vedo due problemi. Sia per l’approvvigionamento di materie prime che servono ai motori elettrici, sia per lo smaltimento. Passi avanti nell’idrogeno quindi mi sembrano più efficaci».
Lei crede che per fare crescere la città ci siano bisogno di grandi eventi come le
«VA BENE LA MOBILITÀ ELETTRICA MA IO GUARDO ALLO SVILUPPO DELL’IDROGENO, CHE NON SMANTELLA LE AZIENDE DEL TERRITORIO»
Tirai tre volte una monetina e per tre volte uscì testa, geologia. La scelta, dunque, è stata affidata al caso. Però è andata bene: sono professore ordinario al Politecnico di Torino da quando avevo 42 anni». Molto giovane per gli standard. Un «secchione», come l’ha definita il suo segretario Enrico Letta
«Sì, lo ammetto. E da sempre. Presi ottimo alle medie, sessanta sessantesimi all’istituto tecnico e 110 e lode a geologia». Anche l’istituto tecnico è una scelta inconsueta.
«Nasco in una famiglia normale. Da papà pugliese, disegnatore alla Sip, e mamma impiegata in un’azienda metalmeccanica nata in provincia di Torino».
A proposito di papà pugliese: è il primo sindaco di Torino con un cognome del Sud.
«Sono della generazione degli Anni 70, figlio di quel modello Torino che era naturalmente aperto all’immigrazione. Duecento anni fa arrivarono da Chieri e da Alba per lavorare, e già allora c’erano i preti di strada come Don Bosco ad accoglierli. Poi nel dopoguerra l’immigrazione è arrivata dal meridione, e via via dal Maghreb e dall’Est Europa e ora dall’africa sub sahariana. È la storia della nostra città».
Tanti anni fa, su questo giornale, Claudio Sabelli Fioretti faceva «il gioco della torre» con i suoi intervistati. Ripropongo il gioco ma volto al positivo. Cosa preferisce: vitello tonnato o carne cruda?
«Tutte e due, non si può?».
No.
«Vitello tonnato».
Renzi o Movimento cinque Stelle?
«Il Pd».
Riformulo la domanda: Calenda o Movimento cinque Stelle?
«Il Pd».
Juve o Toro?
«Juve».
«ENRICO LETTA HA RAGIONE, SONO SEMPRE STATO UN SECCHIONE: A 42 ANNI SONO DIVENTATO PROFESSORE ORDINARIO AL POLITECNICO»