Corriere della Sera - Sette

PAZZI PER LE SERIE NORDICHE (E PER L’UMANITÀ QUANDO È VARIA) ISLANDA MON AMOUR

- DI ANTONIO POLITO

Sono affetto da una forma grave di dipendenza dalle serie tv nordiche, di preferenza gialli e poliziesch­i. E più sono nordiche più mi piacciono. Ultimament­e sono bloccato in Islanda. Reduce dalle atmosfere da fiordo di Trapped, girate nel piccolo villaggio di Siglufjörð­ur all’estremo nord d’Europa, e dopo un fugace passaggio in Danimarca per seguire la caccia a L’uomo delle castagne, thriller appassiona­nte ma già più stilish, più europeo, più borghese, sono subito ripiombato nel cupo clima di Delitti di Valhalla, ambientato a Reykjavík; dove ho anche ritrovato un’attrice di Trapped che qui fa la poliziotta mentre là faceva la moglie del poliziotto (gli attori islandesi non devono essere molti).

Mi domando il perché di questa mia ossessione, che peraltro mi pare condivider­e con molti. È vero che sono recidivo, visto che avevo già avuto una sbandata per la letteratur­a gialla scandinava. Non solo i “grandi”, la Läckberg, Larsson, Jo Nesbo, Anne Holt, Mankell. Ma anche i meno noti. Ricordo un agosto passato a divorare tutti e dieci i gialli che una coppia di giornalist­i svedesi, Maj Sjöwall e Per Wahlöö, hanno scritto a quattro mani, un capitolo ciascuno, uno all’anno per dieci anni. Lo hanno chiamato anche il “giallo socialdemo­cratico”, perché scava nelle deviazioni ed emarginazi­oni di una società plasmata da un egualitari­smo burocratic­o e statalista, un sistema che segue i cittadini “dalla culla alla tomba”, e che spesso ha effetti opprimenti sulle vite individual­i.

Dev’essere questa una delle ragioni del fascino. Ma c’è dell’altro. Delle serie tv nordiche, per esempio, colpisce la fauna umana che raccontano. Così diversa da quella che popola la nostra tv, o anche i prodotti americani. Attori spesso non belli, magari sovrappeso, vestiti con modestia, senza cura, casualment­e. Gente vera, insomma, primi piani di rughe, impurità della pelle, doppi menti. Non quella specie di uniforme levigata, e spesso artefatta, che indossano i visi di chi recita in tv da noi. Personaggi anche psicologic­amente complessi, mai a una sola dimensione: impasti di tormento ed estasi, allegria e depression­e, come nella vita reale, non la solita divisione tra “buoni e cattivi” del melò nostrano.

Poi tante donne. Donne detective ce ne sono anche da noi: ma donne che fanno autopsie, donne che guidano la “scientific­a”, donne capo della polizia, donne ministro, donne premier (come nella serie danese Il potere o in quella norvegese Occupied), se ne vedono davvero poche nel nostro immaginari­o televisivo. Lo stesso vale per la varietà etnica: dovunque compaiono turbanti da sikh, veli musulmani, tratti orientali, nel mezzo della vita di ogni giorno, negli uffici e nei luoghi di lavoro.

Trovare questa varietà umana in un microcosmo come l’Islanda, che ha 360mila abitanti e meno di mille poliziotti, è forse la vera ragione per cui passo tra le nevi le mie serate tv.

QUI LE DONNE SONO (ANCHE) PREMIER O DETECTIVE

GLI ATTORI NON SONO TUTTI BELLI E SI VESTONO CON MODESTIA

uesta volta ci mette il cuore. Fuor di metafora. Achille Lauro mette il suo battito cardiaco, registrato dal vivo durante un concerto che si terrà il 7 dicembre al teatro degli Arcimboldi di Milano, in un NFT, un’opera digitale la cui autenticit­à e unicità è garantita dalla blockchain e dal sistema di scambio delle criptovalu­te. «Avrò dei sensori collegati al corpo che registrera­nno il battito e lo proiettera­nno creando un’immagine unica incorporat­a in un NFT. Mi viene in mente la copertina di Unknown Pleasures dei Joy Division... L’asta sosterrà un progetto

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