COSA C’È NELLO SCRIGNO? NON STANNO TRA LE COSE
LE GIOIE DELLA VITA
Il giovane gentiluomo Bassanio desidera la mano della bella Porzia, racconta Shakespeare nel Mercante di Venezia. Non è semplice, però, perché prima deve trovare in quale dei tre scrigni si trova il ritratto della ragazza. Così ha voluto il padre, per assicurarsi che la figlia sarebbe andata in sposa alla persona giusta. Nella commedia, i tre scrigni sono associati a tre metalli (oro, argento, piombo) e sono presentati secondo un ordine da cui è facile intuire quale sia quello giusto. Proviamo a rimescolarli, allora. Su uno scrigno si trova la scritta «Chi sceglie me, otterrà ciò che desiderano molti»; su un altro «Chi sceglie me, deve rischiare tutto quello che ha». Sull’altro ancora, infine, la frase è «Chi sceglie me, avrà quanto si merita». Quale scrigno conviene aprire per trovare il ritratto tanto agognato? Non è facile, o forse sì – tu, caro lettore, cosa sceglieresti? Bassanio opta per il secondo scrigno nella nostra sequenza, che in Shakespeare era l’ultimo, ed era quello di piombo. Fa bene, perché lì è la spiegazione di cosa sia un amore autentico, donare e donarsi. È una piccola differenza, ma decisiva: negli altri due scrigni l’accento cadeva sul ricevere. Niente di più sbagliato, perché l’amore non segue la logica mercantile dello scambio: non può essere ridotto al possesso di un oggetto, come se l’altro, l’amato o l’amata, fosse soltanto qualcosa che può e deve diventare mio. Una simile idea è l’anticamera della volontà di possesso e della violenza, da parte di chi ha paura di perdere qualcosa che considera cosa sua. L’amore è tutt’altro, è il dono della propria incompletezza e mancanza, nella speranza di compiere un cammino insieme. Dare all’altro ciò che non si ha: ecco una possibile definizione dell’amore, secondo Jacques Lacan. In effetti chi lo riceve non è per questo più ricco di chi lo offre, anzi. Ne sapeva di cose, il padre di Porzia.
Vale nell’amore e vale nella vita, osserva Isabella Guanzini nel suo ultimo libro pubblicato per i tipi di Ponte alle Grazie). Perché in fondo una vita vera, una vita che merita di essere vissuta, non è una vita che si trincera dietro al possesso di beni e ricchezze che dovrebbero renderla piacevole e non fanno altro che inaridirla. La ricerca, anche legittima, di una sicurezza che ci metta al riparo dalle incertezze del mondo rischia di congelare tutto in una ripetitività stanca e priva di prospettive.
È come se sulle nostre vite si fosse posato lo sguardo di Medusa, che pietrifica tutto e tutti. Ma è proprio il contrario ciò di cui abbiamo bisogno: a dare valore a una vita, questo evento unico e irripetibile, è la capacità di donare, di fare, di lasciare dietro di noi qualcosa. Creare movimento, ecco la sfida – costruire relazioni, non accumulare cose. E lì è il segreto della gioia, questa passione tanto inattuale quanto importante, che è questa possibilità incessante di creazione e di novità, la presa d’atto che non siamo incatenati a nessun destino da sempre e per sempre.
«CHI SCEGLIE ME DEVE RISCHIARE TUTTO QUELLO CHE HA» QUI C’È L’AMORE AUTENTICO: MOVIMENTO NON ACCUMULO