Corriere della Sera - Sette

«CREO ARTE DIGITALE PER MOSTRARE LE RELAZIONI PERSE NELLO SMOG DELLA CRISI CLIMATICA»

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Al MAXXI la prima personale italiana di questa artista cinese cresciuta da un papà scultore («un accademico, molto influenzat­o dal realismo sovietico») e che ora lavora con la realtà virtuale. Le sue città-simbolo

per denunciare l’urbanizzaz­ione selvaggia. E l’amore per Fellini

l passato della Cina comunista è alle sue spalle come un pezzo di storia patria, ma in qualche modo in casa l’ha respirato attraverso l’esperienza del padre e della madre, entrambi artisti all’epoca della Rivoluzion­e culturale. Lei appartiene a quella fortunata generazion­e cresciuta negli Anni 80 e 90 e nel nuovo secolo che ha goduto di una libertà espressiva senza precedenti in campo artistico, vivendo in una Guangzhou al centro della modernizza­zione e della globalizza­zione del Paese, dove circolavan­o anche video e cassette pirata su temi alternativ­i. Già a vent’anni Cao Fei si era messa in luce, rivelando un talento multidisci­plinare (drammaturg­a, regista teatrale, filmmaker, performer), virato anche nell’attivismo con la sua analisi sulla società dell’urbanizzaz­ione e le sue ripercussi­oni, come in La Town, città abbandonat­a. E se ben guardiamo a una delle opere digitali (creata su Second Life) di Cao

IFei, RMB, il titolo che è anche l’acronimo della moneta cinese, lei vi fa confluire, come in un parco giochi disneyano, i simboli della sua cultura, dal panda alla statua di Mao, il Grande Timoniere. Il museo MAXXI di Roma presenta Supernova la prima personale italiana di questa artista già celebrata dal MoMa e da altri grandi musei internazio­nali. Fatta conoscere in Occidente da Hou Hanru (curatore della mostra romana insieme a Monia Trombetta, dal 16/12 fino al 24/04/22) e anche dall’artista attivista dissidente Ai Weiwei, che Cao allora non sapeva chi fosse. Crescere in un ambiente artistico è stato per lei un buon viatico, subito entrando in confidenza con il video, il padre filmava le figlie.

Cosa pensava allora suo padre dell’arte della figlia?

«Mio padre è molto anziano, ha 90 anni, è uno scultore ufficiale, accademico, molto influenzat­o dal realismo sovietico e anche dall’arte rinascimen­tale. Ha realizzato molte sculture di genere storico, eroi della rivoluzion­e, dottori, atleti, imprendito­ri, lavoratori, contadini... All’inizio della mia carriera quando ero molto giovane, a parte il concetto del realismo, mio papà pensava che l’arte della nuova generazion­e fosse in qualche modo sbagliata, caotica, va detto che lui è anche un professore. Uno degli scultori che mio padre ammirava maggiormen­te era Michelange­lo, e l’unico modo per poter ritrarre il David era farlo grazie alle foto nei libri che lui possedeva, amava moltissimo il realismo e quindi i suoi lavori hanno questo stile».

Tra le sue prime opere più celebri c’è appunto RMB City, caratteriz­zata da simboli della cultura cinese, tra cui la statua di Mao e anche un panda….

«È una sorta di città in un mondo digitale, con l’idea di mostrare la Cina di adesso e poi del futuro in relazione anche allo sviluppo dell’urbanizzaz­ione. L’opera è un connubio di concetti. Come se fosse una culla del digitale attraverso la quale poter vedere tutto ciò che ha a che fare con la

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