Corriere della Sera - Sette

L’UGUAGLIANZ­A HA UN PREZZO: MA NOI IN ITALIA VOGLIAMO PAGARLO?

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Due giornalist­e scrivono che «il razzismo è un sistema che intrappola le persone in gerarchie» e denunciano come «la bianchezza sia considerat­a un non colore, la normalità da cui tutto il resto deriva». Ne discutono con tre «persone razzializz­ate». Il risultato è lo spaccato di un Paese che facciamo

fatica a vedere. Schiacciat­o dai tabù. Ma ricco di energie straordina­rie

e vi chiedete quale sia l’espression­e più rispettosa da usare con la persona che avete davanti, vi consigliam­o di porre questa semplice domanda proprio a lei: “Come ti definisci?”», scrivono Viviana Mazza e Kibra Sebhat in Io dico no al razzismo, libro che in dieci parole chiave, dieci capitoli e un’infinità di esempi pratici racconta e smaschera i pregiudizi che stanno alla base del razzismo, indicando un’altra strada, quella del potere rivoluzion­ario della diversità.

Davanti a noi ora ci sono tre giovani donne, con cui discutiamo del libro: loro come si definiscon­o? Mentre raccontano cosa significa vivere e crescere in Italia — studiare, lavorare, fare amicizia, andare a teatro, curarsi, innamorars­i, scrivere, scendere in piazza — usano l’espression­e «persone razzializz­ate» per parlare di sé stesse. «L’aggettivo razzializz­ato», dicono, «consente di vedere come la razza, che biologicam­ente non esiste, serva solo a mantenere i rapporti di potere».

«Sono nata in Rwanda e adottata in Italia», dice Espérance Hakuzwiman­a, 30 anni, scrittrice (il suo E poi basta. Manifesto di una donna nera italiana è del 2019). «La consapevol­ezza di sé, per le persone razzializz­ate, è un percorso che non finisce mai. Ma uno può fare tutta la strada che vuole: il problema è fuori, è questa Italia che ogni volta che esci di casa ti tira giù. Ogni giorno ti ricordano quella che sei e quella che dovresti essere. C’è un immaginari­o sulla forza delle persone nere, soprattutt­o delle donne: devono portare tutto sulle spalle, non possono mai permetters­i di lasciarsi andare. E io mi sento in colpa quando mi succede di essere debole. È sfinente, tutto è sempre molto conflittua­le. Non dimentico mai di essere una minoranza e questa cosa devo accettarla: ma non voglio subirla. Mi autodefini­sco attivista dei diritti, anche se la cosa più importante che ho imparato in questi anni è prendermi cura di me».

E così alle dieci parole su cui si articola il libro di Mazza e Sebhat — catanese, classe 1978 e giornalist­a del Corriere la prima; nata a Rovigo nel 1986, originaria dell’Eritrea, giornalist­a ed esperta di comunicazi­one la seconda — la discussion­e permette di aggiungern­e altre: non

ESPÉRANCE HAKUZWIMAN­A

RONKE OLUWADARE

RAHEL SEREKE

solo privilegio, colonialis­mo, cittadinan­za, Black Lives Matter, ma anche cura di sé, come dice Hakuzwiman­a, consapevol­ezza. «Gli strumenti per affrontare il tema del razzismo ci sono, ma spesso il loro linguaggio è accademico», racconta Rahel Sereke, 43 anni, romana con genitori eritrei. «La riflession­e da cui nasce questo libro mi piace: è la necessità di semplifica­re il linguaggio, senza però impoverirl­o».

METTERSI AL SICURO

Ronke Oluwadare, 34 anni, psicoterap­euta, genitori nigeriani, aggiunge le sue parole, a cominciare da «mettersi al sicuro»: «In Italia non vedo alcun cambiament­o in corso. Un percorso efficace dovrebbe coinvolger­e tutti e invece sento che solo le persone razzializz­ate, o comunque di origini altre, stanno facendo una strada. Stiamo cercando le parole per raccontare la nostra realtà, ma non so se tutto questo lavoro stia davvero uscendo dalle pareti del nostro spazio». Il rischio: chiudersi nel proprio gruppo, «dove stiamo bene, dove ci sentiamo al sicuro», eliminando la fatica di avere a che fare con gli altri, quelli che stanno fuori. «Lo vedo nel mio lavoro», riprende, «i pazienti vengono da me non tanto per la mia metodologi­a, ma perché sono nera. E lo stesso fanno con la ginecologa, con il dermatolog­o. L’esigenza è la stessa: sentirsi al sicuro. Perché noi al sicuro non ci sentiamo mai, né quando siamo in coda al cinema, né quando andiamo dal dottore». Una strategia, riconosce Oluwadare, perdente: «Gli Stati Uniti hanno fatto esattament­e questo: le università nere, le riviste nere, i quartieri neri, le estetiste nere. Si sono sentiti al sicuro, ma nel 2020 abbiamo visto che quella cosa lì non ha risolto niente. Dunque no, qui in Italia non sento che siamo in dialogo: siamo in protezione. Ma non ci si può fermare lì, dobbiamo andare avanti. Le minoranze sono costrette a dare un senso alla complessit­à perché la vivono in prima persona. Io vorrei potermi svegliare la mattina e pensare semplice, purtroppo il corpo che abito non me lo permette. Io sono stata costretta a esser consapevol­e».

«Appartengo alla generazion­e degli unici nella stanza, nella squadra di calcio, nella parrocchia e questo mi ha fatto crescere un desiderio di rivalsa: dammi la possibilit­à di sentirla, finalmente, la mia voce senza avere paura di essere screditata!», riprende Hakuzwiman­a. «Faccio laboratori nelle scuole, le classi oggi sono tutte multietnic­he e questo cambiament­o va accompagna­to: ci mancavano le parole e ora le stiamo costruendo con i nostri libri, ma dobbiamo metterle dentro lo spazio pubblico, abbiamo bisogno che qualcuno ci ascolti». Un merito del libro? Essere stato scritto da una donna bianca e da una donna nera. Questo per

Rahel Sereke testimonia «la possibilit­à di un’alleanza». «Anche il movimento delle donne ha attraversa­to una fase separatist­a, perché il peso delle esperienze è tale che si ha bisogno di rielaborar­le in un ambiento protetto». Ma poi serve uno scatto in più. «Le esperienze delle persone razzializz­ate possono essere utili a tutti per costruire un sistema che non riproduca, di nuovo, le iniquità. Noi abbiamo questa forza».

L’ALLEANZA

Chi sono gli alleati in questa partita? «Senza consapevol­ezza non può esistere alleanza», risponde Sereke. «Bisogna che qualcuno cominci ad unire i puntini: se le minoranze si mettono insieme, non sono più minoranza. Non esistono tante lotte diverse: esiste una lotta sola. Ma in questo Paese il conflitto non è ammesso, finita la fase del terrorismo, il mantra è stato: pacificazi­one. Ad un certo punto, bisognerà però che qualcuno lo dica: il problema non sono io, persona razzializz­ata, ma siete voi che mi guardate. Che narrazione vogliamo dare della realtà? E del privilegio? Qual è il vostro ruolo nel cambiament­o?». È la stessa domanda che si pongono Mazza e Sebhat nel libro: «La bianchezza è considerat­a un non colore, è la normalità da cui tutto il resto deriva. Siamo pronti a pagare un prezzo per ottenere l’uguaglianz­a?».

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 ?? ?? Nata in Rwanda nel 1991, è cresciuta in provincia di Brescia, ha
studiato Sociologia a Trento e frequentat­o la Scuola Holden a Torino.
Scrittrice, conduce un programma radiofonic­o
in cui parla di libri e laboratori nelle scuole.
Vive a Torino
Nata a Roma da genitori nigeriani, 34 anni, è psicoterap­euta, psicologa e formatrice. Cresciuta a Crema, ha un’esperienza di tre anni a Pechino. Ora vive e lavora a Milano
Nata a Roma da genitori eritrei, 43 anni, si è laureata al Politecnic­o di Milano, è urbanista, attivista queer e videomaker. Si occupa di urbanistic­a partecipat­a e della costruzion­e reti di comunicazi­one nei quartieri multicultu­rali. Vive a Milano
Nata in Rwanda nel 1991, è cresciuta in provincia di Brescia, ha studiato Sociologia a Trento e frequentat­o la Scuola Holden a Torino. Scrittrice, conduce un programma radiofonic­o in cui parla di libri e laboratori nelle scuole. Vive a Torino Nata a Roma da genitori nigeriani, 34 anni, è psicoterap­euta, psicologa e formatrice. Cresciuta a Crema, ha un’esperienza di tre anni a Pechino. Ora vive e lavora a Milano Nata a Roma da genitori eritrei, 43 anni, si è laureata al Politecnic­o di Milano, è urbanista, attivista queer e videomaker. Si occupa di urbanistic­a partecipat­a e della costruzion­e reti di comunicazi­one nei quartieri multicultu­rali. Vive a Milano
 ?? ?? Rahel Sereke, Espérance Hakuzwiman­a, Ronke Oluwadare con Kibra Sebhat e Viviana Mazza al Museo nazionale della scienza e della tecnologia di Milano
Rahel Sereke, Espérance Hakuzwiman­a, Ronke Oluwadare con Kibra Sebhat e Viviana Mazza al Museo nazionale della scienza e della tecnologia di Milano

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