PATTO SUI MIGRANTI
UN’EUROPA PIÙ FORTE DEVE AGIRE UNITA (COME SUI VACCINI)
uando cadde il Muro di Berlino, nell’autunno 1989, ci prese una giustificata euforia. L’Europa si ricuciva in tempo per la fine di un secolo breve e tragico, il Novecento, che in Germania aveva mostrato il peggio dell’età moderna. Il nuovo, sovrapposto al nuovo millennio, avrebbe visto l’Unione dei Paesi europei – allargata a est – portarsi in pole position per guidare un’era di armonia geopolitica dimentica dei missili incrociati, di prosperità economica in spazi riaperti al mercato, di leadership “gentile” nutrita dalla consapevolezza di errori da non ripetere. Addio a Check-Point Charlie, che sarebbe presto diventato museo per turisti. Bentornata alla cattedrale di Dresda, in macerie dal 1945, che un’operazione di crowdfunding avrebbe rimesso insieme pezzo per pezzo.
Che cos’è stato di quel sogno? Che cosa della nostra speranza di cittadini europei affrancati dai moduli prestampati della guerra fredda e riconsegnati a una possibilità di storie libere? Ha senso tentare di rispondere ora che la pandemia ha messo alla prova quell’Unione già descritta nei Trattati come destinata a essere “sempre più stretta”. Ora che poche migliaia di profughi mediorientali vengono rimbalzati al confine polacco, trasformati in proiettili umani da Lukashenko, un dittatore la cui unica tattica è l’escalation (come racconta il servizio di Francesca Basso a pagina 34).
L’Europa fa i conti con sé stessa, con le sue vulnerabilità interne ed esterne. Sulla crisi generata da un virus che ancora si muove a ondate, l’Unione ha cercato (e cerca) di dare il meglio. Gli Stati membri si inseguono nell’annuncio di inizio/fine restrizioni, ma sopravvive il tentativo centrale di condividere le strategie sanitarie come gli investimenti per la ripresa. Davanti al Covid-19, è scattata la consapevolezza dell’utilità – della necessità – di un ragionamento e di un’operatività multilaterali. Non è poco, anzi è tantissimo. Perché riconoscere l’efficacia di una regia condivisa sarà fondamentale davanti alle prossime sfide, in particolare con la Cina, quando verrà il momento di applicare standard di sostenibilità ambientale agli accordi commerciali. Se recuperiamo i titoli dei giornali (o i contenuti dei social) di un anno fa sui ritardi vaccinali e li confrontiamo con i risultati di questi mesi rispetto all’America di Trump-Biden, vediamo che l’Europa può riafferrare la bandiera stellata e guardare avanti. Come ha scritto Maurizio Ferrera sulla Lettura, «magari non per dirigere il mondo intero, ma almeno per recuperare la capacità di guidare sé stessa».
Ma se rivolgiamo lo sguardo a quelle tombe desolate appena al di là della nostra frontiera comunitaria con la Bielorussia, a quei cumuli di terra coperti dalle fronde degli abeti, ci chiediamo dove sia finita la nostra volontà di riproporci come una civiltà antica e tuttavia promettente. Non sarà un perimetro di muri a proteggere il benessere degli Stati membri. Le migrazioni sono un flusso continuo, non un’emergenza intermittente. Per questo la fine dell’interregno pandemico deve avere davanti a sé tre strade. Verso il rilancio di Next Generation Ue nel 2016; verso un Patto di Stabilità rimodellato, che sia leva e non bastone; verso un secondo Patto, un patto sulle migrazioni, che permetta ai singoli governi di non esporsi a contraccolpi sovranisti e aiuti l’Unione intera a non perdere l’anima nelle foreste dell’est. Come lungo la diagonale che unisce il Canale della Manica a quello di Sicilia.
L’UNIONE HA FATTO BENE CONTRO IL VIRUS, ORA SERVE UNA REGIA PER RISPONDERE A UN’ALTRA CRISI CHE RIGUARDA TUTTI