Corriere della Sera - Sette

NOI BABYBOOMER, EX DI TUTTO, NON ABBIAMO (PURTROPPO) IL MONOPOLIO DELLA STORIA

- DI ANTONIO POLITO

L’altro giorno mio figlio è sbottato: «Papà, tu sei uno degli Anni 60». Voleva dire: non capisci niente (già è molto che non mi abbia dato del boomer). Sul momento, mi ha fatto arrabbiare. «E allora?», gli ho risposto. Ebbene sì, sono nato negli Anni 50 e ho avuto diciott’anni nei 70. Qualche problema? Siamo la generazion­e che ha incrociato la Storia con la maiuscola. Dall’«indimentic­abile ’56», la guerra per Suez e l’invasione dell’Ungheria; fino al ’68, vero spartiacqu­e dell’Occidente, e alla liberazion­e sessuale, il divorzio e l’aborto, negli Anni 70. E poi la caduta del Muro, la fine del comunismo, il trionfo della democrazia. Siamo quelli del baby boom, quelli che hanno trasformat­o un Paese arretrato e bacchetton­e in una nazione moderna e progredita, conducendo aziende e partiti, giornali e tv, grazie alla parlantina sciolta allenata nei cortei studentesc­hi e agli alti livelli di scolarizza­zione.

Ma forse è proprio per questo che ora soffriamo così tanto della sindrome dell’ex. Man mano che usciamo di scena, per la pensione o anche prima per obsolescen­za, ci accorgiamo che il nostro ruolo di grilli parlanti si sta esaurendo. Ed è un trauma. Siamo abituati ad essere ascoltati, in famiglia e fuori, e ora notiamo una preoccupan­te distrazion­e nei nostri interlocut­ori quando ci lanciamo nelle nostre tirate. È in corso un gigantesco fenomeno di sostituzio­ne generazion­ale. Gigantesco perché la nostra coorte demografic­a, quella dei nati tra il 1946 e il 1964, è stata la più numerosa degli ultimi cent’anni. Tanto per dare un’idea: al suo culmine, nel 1964, in Italia nacquero più di un milione di bambini; quest’anno saranno per la prima volta meno di 400mila.

Se volessimo partecipar­e al gioco di dare un nome alle generazion­i, (la Generazion­e X, la Generazion­e Y dei Millennial­s, la Generazion­e Z), noi potremmo chiamarci la Generazion­e EX: quelli di prima, insomma.

La nostra frustrazio­ne è perciò comprensib­ile. Pensiamo – a ragione – che le generazion­i successive (i nostri figli) non dovrebbero buttar via tutto quello che noi abbiamo visto e capito. Però dovremmo anche imparare ad accettare con stile l’eclisse, il declino, l’addio. E c’è un solo modo per farlo con successo: un grande bagno di umiltà.

In fin dei conti, siamo poi così sicuri che le nostre esperienze di vita siano state più significat­ive e formative delle loro? I nati dopo il Duemila sono entrati nella storia insieme con un atto di guerra, l’abbattimen­to delle Twin Towers, che noi non abbiamo mai visto nel nostro lungo tempo di pace. Hanno incrociato la crisi economica più drammatica dal crollo di Wall Street del 1929, mentre noi ce la siamo spassata in decenni di prosperità continua, consumi e benessere. E ora sono alle prese con la più grave pandemia dalla “spagnola” del 1918, un evento che ha cambiato il modo di vivere del mondo intero.

Saremo capaci di riconoscer­e, insomma, prima o poi, che questi ragazzi ne hanno viste già più di noi?

FACCIAMO UN BEL BAGNO DI UMILTÀ: I RAGAZZI DEL DUEMULA HANNO SPERIMENTA­TO L’11/9, LA CRISI FINANZIARI­A, LA PANDEMIA

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