Corriere della Sera - Sette

«IL PRESENTISM­O HA UCCISO IL FUTURO E LA PROCREAZIO­NE: L’AMORE NON BASTA»

- GIUSEPPE DE RITA, 89 ANNI, ROMANO, SOCIOLOGO, È PRESIDENTE DEL CENSIS, ISTITUTO DI RICERCA SOCIO ECONOMICA. SPOSATO CON MARIA LUISA BARI, SCOMPARSA NEL 2014, HA 8 FIGLI E 14 NIPOTI

MDI ROBERTO GRESSI ILLUSTRAZI­ONI DI SONIA DIAB

a quanti sono i tipi di famiglie? Ognuno di noi ne ha presenti un bel po’, se pensiamo a luoghi stabili dove ci si scambia amore e assistenza nell’attraversa­re il mondo. Sono più o meno tutte uguali? Lev Tolstoj risolve la domanda con un aforisma: «Le famiglie felici si assomiglia­no tutte, le famiglie infelici sono infelici ciascuna a modo suo».

Negli Stati Uniti, hanno messo in piedi uno studio che ne ha contate ben quarantase­i, in qualche modo a partire dalla Genesi: «E l’uomo disse: questa, finalmente, è ossa delle mie ossa e carne della mia carne. Ella sarà chiamata donna perché è stata tratta dall’uomo. Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua moglie, e saranno una stessa carne». Ma alto è il numero dei nuclei non tradiziona­li, sempre più comuni, almeno in Occidente. E diverse sono le soluzioni. Madre, cosa posso fare per la pace nel mondo? «Torna a casa e ama la tua famiglia», risponde madre Teresa di Calcutta. Lo scrittore e poeta Christian Morgenster­n: «La casa non è dove vivi, ma dove ti capiscono».

La famiglia occupa tanta parte dell’immaginari­o collettivo: fiabe, cinema, cartoni animati. Stitch è un feroce e dolcissimo alieno, nato in laboratori­o come arma letale, che si intenerisc­e quando la bambina Lilo gli spiega che «famiglia vuol dire che nessuno viene mai abbandonat­o». Marlon Brando chiede al fi

«NELLA FAMIGLIA CI SONO DUE DIMENSIONI CONVERGENT­I: LA PROSPERITÀ E LA POSTERITÀ. LA DIMENSIONE VERA È LA SECONDA, QUELLA VERTICALE»

glio Michael Corleone: «Ci stai abbastanza in famiglia?». E lui più tardi dirà: «Oggi risolvo tutte le questioni di famiglia». Geppetto affronta il suo desiderio di paternità chiedendo a mastro Ciliegia un pezzo di legno; nella scena incriminat­a di Ultimo Tango a Parigi, che portò il film al rogo, c’è un duro monologo contro la famiglia.

Grande è la moltiplica­zione sotto il cielo e il professor Giuseppe De Rita, presidente del Censis, cattolico, profondo conoscitor­e e studioso della società italiana, affronta la questione con un sistema di ascisse e ordinate, orizzontal­e e verticale. Laddove sulla linea delle ascisse, orizzontal­e, c’è la convivenza, la mutua assistenza, la ricerca del benessere. Mentre sulla linea verticale delle ordinate c’è l’unione, ci sono i figli, la costruzion­e del futuro.

Professore, le va di parlare della sua famiglia? I suoi genitori, l’esperienza di sposo e di padre…

«Ma, non so, vede… la mia esperienza di famiglia è un po’ delirante: otto figli, quattordic­i nipoti… molto tradiziona­le, molto unita… In questo momento in cui la famiglia attraversa una crisi profonda, parlare della mia esperienza può sembrare una specie di vezzo. Nella famiglia, se posso usare uno slogan, ci sono due dimensioni convergent­i: la prosperità e la posterità. Con la prosperità una famiglia tende all’orizzontal­ità. Nella mia famiglia dimensione orizzontal­e vuol dire tanti figli, tanti nipoti, tanta comunità, abbondanza, ricchezza umana e anche economica. Ma la dimensione vera è quella verticale: i figli come

«LA MIA ESPERIENZA È UN PO’ DELIRANTE: 8 FIGLI, 14 NIPOTI... LA RADICE

DA CUI COMINCIAMM­O IO E MIA MOGLIE È LÌ: COSTRUIRE IL FUTURO»

la famiglia eterosessu­ale?

«La famiglia eterosessu­ale sembra vivere una crisi di opinione, che la riduce a una delle tante. Eh no! Non è così. La famiglia tradiziona­le è da sempre fondamento della società. La famiglia intesa in senso biblico vive un momento non facile, ma solo sull’onda di un’opinione figlia di questi ultimi decenni, non nella sostanza. La sostanza ci dice invece che non è un residuo, ma che regge il mondo da millenni. Oggi assistiamo a una moltiplica­zione dei desideri, ma Sara della Bibbia non desiderava una casa più bella o una macchina più potente, voleva un figlio. Adesso il desiderio di un figlio diventa uno dei tanti. Non a caso spesso viene posposto. Il figlio lo vorrei ma ora devo far carriera, lo vorrei ma non ci sono soldi, non ci sono asili nido… Si cercano e si costruisco­no giustifica­zioni: è una forma di vigliacche­ria intellettu­ale».

Negli anni Cinquanta e Sessanta però una grande natalità conviveva con la voglia di benessere.

«Si è vero, ma si guardava al futuro. Non per niente il principale oggetto del desiderio era la casa e non per fare un buon investimen­to ma per costruire una famiglia. Ora ci si perde nella soddisfazi­one dei molteplici desideri che offre una società ricca».

L’omologazio­ne culturale, il consumismo, la denuncia di Pier Paolo Pasolini sul mutamento dell’Italia.

«Pasolini aveva una grande capacità di intuizione sociologic­a. Quando come Censis parlammo della nascita di una nuova borghesia che vinceva sull’Italia agricola ci disse che non di una classe si trattava, col segno della responsabi­lità e del futuro che aveva animato la grande borghesia inglese o tedesca, ma solo di una miriade di piccoli borghesi, tesi unicamente alla soddisfazi­one dei propri desideri. Aveva perfettame­nte ragione». Torniamo ai figli: perché cala la voglia di averli? Se il motivo non è economico di chi è la “colpa”? Più delle donne o più degli uomini?

«Apparentem­ente si tende a dare maggiore responsabi­lità alle donne ma credo che siamo tutti insieme, maschi e fem

mine, prigionier­i di una cultura del presente, un presente prospero che si preferisce a un futuro con il punto interrogat­ivo». Fare i figli è però anche egoismo. “Trasmetter­e” sé stessi, il proprio nome, una forma di immortalit­à…

«L’egoismo ora si rivolge ad altro. Prima pensavo a lasciare a un erede la mia ditta, adesso, lo dico con una battuta, mi mangio tutto. Il mio futuro è vivere al meglio il mio presente. Tanto se ho un’azienda agricola e il mio eventuale figlio studia cinema a Londra non ci incontrere­mo mai più».

Lei è molto pessimista sull’Italia.

«Sono pessimista perché il presentism­o è la malattia attuale. Anche il piano di recovery… Addio pianificaz­ione economica, siamo qui a litigarci i miliardi nel presente. Più al Nord, più al Sud, a questa o quella città, questo o quel settore…». Torniamo alla famiglia: che impatto hanno avuto le unioni civili?

«Hanno sanato alcuni problemi, una legge giusta, che non ha impatto sociale vero. Così come i matrimoni omosessual­i. Mettono a posto situazioni individual­i».

Lei è favorevole ai matrimoni omosessual­i?

«Non ho nulla contro, ma non hanno effetto di sistema. La cultura dell’opinione non modifica nulla. Non ha senso dare un giudizio sui matrimoni omosessual­i, sono solo correttivi per far star meglio gli interessat­i, non cambiano la struttura del sistema».

Come è la vita nelle famiglie oggi? La cronaca ci parla anche di sopraffazi­one e violenza.

«Quando la società vive in orizzontal­e, come dicevo all’inizio, si slabbrano i confini. Nella realtà moderna, nella società liquida, non ci sono più confini. La famiglia non riesce ad essere luogo dove si risolvono i conflitti. E non si può dire più qui la droga non entra, i soldi facili non entrano, le parolacce non entrano. Non ci sono più confini tra scuola e società, tra famiglia e società. Che entri anche la violenza verbale o fisica non ci meraviglia. Cosa diversa è il conflitto come occasione di crescita, di affermazio­ne della personalit­à all’interno della famiglia. Io per esempio ho avuto anche rapporti di contrasto violento con mio padre, ci sono state botte, mi ha anche rotto delle cose in testa». Che cosa pensa del rapporto che c’è tra lo Stato e la famiglia?

«Lo Stato non è entrato sulle questioni valoriali, questa astensione, questa neutralità è positiva. Il rapporto è sempre più ridotto a una dimensione economica. I bonus: per le vacanze, per i libri, per la bicicletta e il monopattin­o… È comunque una forma di intrusione. Non è in sé negativa, ma al fine di ottenere consenso riduce l’autonomia delle famiglie».

Il referendum sull’eutanasia, se vinceranno i sì, che impatto avrà sulle famiglie?

«Riproporrà in maniera dura il conflitto tra prosperità e posterità. Perché devo soffrire? Fatemi morire e basta. È su questo che il referendum sarà vinto. Basta non soffrire. Non è questione di vincoli religiosi o intellettu­ali. È il presentism­o agiato che ha la meglio anche sulla morte».

E i nonni? Che ruolo nella famiglia di oggi?

«È una categoria sovraelogi­ata. Aiutano, tengono i bambini, danno mance, aiutano i figli con le loro pensioni. Ma al tempo stesso sono un fastidio, possono cadere e farsi male, vanno curati. L’uso delle Case per anziani di conseguenz­a va spesso aldilà delle necessità reali, prevale sempre il desiderio di vivere il presente in modo agiato. Manca invece la legittimaz­ione di rappresent­are passato e futuro. La sua storia di nonno, in genere non interessa più. Invece il presente è figlio del passato. La lezione di papa Giovanni XXIII, che invitava ad andare a leggere gli archivi parrocchia­li per conoscere la storia della propria comunità, andrebbe ancora seguita. Finito?»

Sì professore, se non ha altro da aggiungere abbiamo finito.

«Sarà un’intervista molto reazionari­a…».

Immagino, professore, che qualche polemica potrà esserci.

«Oh, beh, questo è».

«PRIMA PENSAVO DI LASCIARE A UN EREDE LA MIA DITTA, ADESSO MI MANGIO TUTTO. TANTO LUI VORRÀ FARE LA SCUOLA DI CINEMA A LONDRA»

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