Corriere della Sera - Sette

ANTICIPAND­O «LA TEORIA GENDER»

I MILL, FILOSOFI E CONIUGI, SMONTARONO I PREGIUDIZI

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S’immagini di educare qualcuno allo spirito di sacrificio e di sottomissi­one; poi, quando la persona così educata si comporterà in modo obbediente, s’immagini che qualcuno ne ricavi la conclusion­e che questo avviene perché era nella natura della persona così educata di essere sottomessa. Non è evidente che si tratta di un circolo vizioso? Eppure per secoli la società così ha educato le donne, inculcando nelle bambine valori e stili di vita passivi, che servivano poi a confermare la loro natura di esseri bisognosi di una guida. A osservarlo, tra tanti altri, è stato uno dei più importanti pensatori inglesi del XIX secolo, John Stuart Mill. O meglio, a osservarlo, e scriverlo, sono John Stuart Mill e la sua compagna, poi moglie, Harriet Taylor Mill, una delle figure più brillanti della sua epoca. Di cui nessuno o quasi parlava o parla – le donne, si sa, di filosofia capiscono poco –, nonostante il marito avesse più volte riconosciu­to il suo debito nei suoi confronti: «All’amata e compianta memoria di colei che fu l’ispiratric­e, e in parte l’autrice, di tutto il meglio della mia opera», si legge nella dedica del libro più celebre di Stuart Mill, il Saggio sulla libertà, pubblicato nel 1859, un anno dopo la morte della moglie.

Della vita e delle idee di Taylor Mill si legge finalmente in un bel libro da poco tradotto in italiano, Le regine della filosofia (Edizioni Tlon), contenente tanti agili profili intellettu­ali di pensatrici nel corso dei secoli. Perché non è vero che non ci sono filosofe; sempliceme­nte non c’è stato posto per le filosofe nel mondo ufficiale della filosofia – ma questa è un’altra storia.

La tesi dei due Mill spiega bene il problema di cui tanto si parla oggi, quando ci si accapiglia sulla cosiddetta teoria gender. L’idea è molto semplice. Ci sono evidenti differenze sessuali, biologiche, tra maschi e femmine, che sarebbe assurdo negare. Ma quella serie di caratteris­tiche che si attribuisc­ono ai due generi, quando ad esempio si sostiene che le donne sono passive e gli uomini attivi, le donne sentimenta­li e gli uomini ragionevol­i o pragmatici, non si fonda su nessuna base biologica. Piuttosto, riflette i pregiudizi della società e dell’epoca in cui si vive. E visto che dei propri pregiudizi, come noto, nessuno si rende conto, ecco spiegato il clamore che accoglie questa osservazio­ne, in fondo così banale. Il punto, però, è che a perderci sono tutti, non soltanto le donne. Rinunciare al potenziale contributo delle donne non è un danno evidente per tutta la collettivi­tà?

Al tempo in cui i due Mill scrivevano, uno dei problemi principali riguardava il fatto che le donne fossero private di un’educazione appropriat­a. Il problema oggi è migliorato solo in parte, visto che la nostra società ammette sì l’accesso delle donne all’istruzione ma poi non riesce a garantire un trattament­o adeguato nel mondo del lavoro, con la conseguenz­a del progressiv­o ritirarsi di molte di loro. Uno spreco catastrofi­co di risorse, agli occhi degli utilitaris­ti Stuart e Harriet Mill. Difficile dargli torto.

JOHN STUART DEFINÌ LA MOGLIE HARRIET TAYLOR «ISPIRATRIC­E

E IN PARTE AUTRICE DEL MEGLIO DELLA MIA OPERA»

In quale mamma del suo bestiario si identifica di più? «A me piacciono molto le giraffe. Non mi identifico fisicament­e... Ma sono molto sociali e stabilisco­no dei legami che sostengono la comunità, qualcosa di simile alla banca del tempo per noi donne».

Ne ha fatto esperienza?

«Sì, un po’ ci sono riuscita con le mie amiche: tipo se oggi devi fare questa cosa qua non preoccupar­ti che tuo figlio te lo prendo io e dorme da me. All’inizio con fatica, perché non avendo la patria potestà di Vanessa e Jordan dovevo fare attenzione. E invece poi mi sono lasciata andare, casa nostra è sempre stata un porto di mare». La mamma animale più distante da lei?

«Non sono come la quokka, che lancia il figlio al predatore perché tanto morirebbe lo stesso. Il meccanismo dell’affido non è di salvarsi la pelle, ma di dare un po’ di pelle».

Non ha pensato neanche una volta di «lanciare» Vanessa e Jordan di nuovo in comunità?

«No, di riportarli indietro mai. Ma di dire “fai un po’ il cavolo che vuoi” sì, ancora adesso. Le volte che si tira la corda sono talmente tante. E ogni volta è una richiesta di amore in termini a volte incomprens­ibili, fatta con rabbia, urlando, e tu dall’altra parte non capisci: perché fai così? Te lo devo ancora dire fidati di me?».

L’ultima volta che li ha dovuti rassicurar­e?

«Succede continuame­nte. Per dire: Vanessa ha appena finito uno stage e ne deve cominciare un altro. Le ho proposto: dai, mettiamoci insieme e cerchiamo di stabilire un percorso. E lei: ma io ho già fatto un sacco di domande. Ma non basta fare le domande. E lei: no, è che tu non ti fidi di me. Io volevo solo aiutarla, e invece si ritorna sempre alla fiducia».

Non è un caso se il libro che Luciana Littizzett­o ha appena pubblicato per Mondadori (in testa alle classifich­e) si intitola Io mi fido di te. Racconta la storia dei suoi due figli nati dal cuore: avevano 9 e 11 anni quando le sono stati dati in affido, ora Jordan ne ha 24 e Vanessa 27. Lei ne parla a un tavolo dei MagazziniO­z, ristorante/ emporio nel centro di Torino nato dalla tenacia della sua amica Enrica Baricco, che con i proventi finanzia CasaOz, la struttura di supporto (gratuito) ai bambini e alle famiglie che incontrano la malattia.

Jordan e Vanessa adesso vedono e sentono la madre biologica?

«Per ora no. Devo dire che rimane un tasso dolente, ma è una cosa con cui devono fare i conti loro».

Il suo amore non è bastato?

«Sì, certo. Ma quello è un momento della loro vita che è un ricordo, una pena, una ferita, un buio: è tutto».

Vivono ancora con lei?

«Sì e no. Vanessa lavora a Milano come social media manager, ma quando è in smart working resta qui a casa. Jordan è sempre in giro, lavora in produzione nel cinema, adesso sta finendo Le otto montagne. Ogni tanto gli dico: dai, vediamo una casa, prendiamol­a, e lui risponde che sta volentieri in famiglia».

Nel libro sognava tre giorni di quiete. Sono arrivati?

«Mai, è difficilis­simo. Intanto perché anche se sono grandi, quando mi vedono al computer iniziano: senti, volevo dirti... Lo stesso se ho un libro in mano o un quotidiano».

E non vanno mai in vacanza?

«Sì, con me! Magari partono per conto

l’Helicobact­er pylori. In quale altro modo ha somatizzat­o?

«Mi vengono ancora tanti batticuori e poi l’insonnia, ma non so se dipende da loro, forse è da come vivo io le cose. Ho sempre dormito molto poco quando hanno cominciato a uscire la sera: se li chiamavo il telefonino puntualmen­te era scarico. Un’ansia...».

Lo spavento più grande?

«Quando Jordan è scappato di casa per cinque giorni. Mi sono molto spaventata perché la sua era quasi una punizione. Il punto è che nel tuo mestiere ti dai tempo per crescere, sai che i risultati li vedrai più avanti. Invece con un figlio ti aspetti che cresca subito dritto come lo vuoi tu. Poi però ci sono le serendipit­y, scoperte inattese meraviglio­se...».

Per esempio?

«Quando scopri delle bellezze o dei talenti che non pensavi avessero».

La volta che l’hanno resa più orgogliosa?

«Non ce n’è solo una. L’altro giorno Vanessa ha trovato un portafogli in palestra e lo ha portato alla reception. È una cosa piccola, facilissim­a, però io ero contenta perché era una cosa da persone oneste, perbene».

Io mi fido di te

chissà cosa sta facendo, e poi esce e dice: sai, ho visto La corazzata Potëmkin». Cos’ha imparato da loro e cos’hanno preso da lei?

«Da loro ho imparato a essere un po’ più leggera. Loro da me spero l’onestà e l’attenzione nei confronti degli altri, e anche un po’ di ironia».

E quando Jordan le disse che madre era l’anagramma di merda?

«Ah, ma non lo aveva detto con cattiveria, era piccolo. Quando invece fece la sceneggiat­a del dizionario dicendo leggi cosa vuol dire essere madre, lì ho patito molto, perché quando sei così sofferente vai a colpire nei posti più morbidi degli altri. Ma questo forse lo fanno anche i figli naturali. Sono la regina dei forse».

Si contendono il suo amore?

«Tantissimo! Io che sono figlia unica quella roba non la capisco proprio. Sono riusciti a dirsi cose tremende, sei uno zingaro, tu una nanessa, e poi proporre una pizza come se niente fosse».

Lascia ancora i post-it per casa con le comunicazi­oni di servizio?

«Adesso abbiamo la chat “casa”. Chiedo che lascino l’ultimo accesso su WhatsApp: Vanessa ha compiuto da poco 27 anni e siccome ora dice che è grande, quando è a Torino lo toglie».

Si è mai chiesta: chi me lo ha fatto fare?

«Ma certo, penso succeda in tutte le relazioni affettive, non è mai tutto bellissimo, è un percorso di spine e svolte, ma questa è la vita».

Pensava che sarebbe stato un po’ più facile?

«Pensavo di non essere da sola, non avevo contemplat­o la malattia di Davide... La solitudine è questo. Non ho più fatto tournée, sono andata in giro pochissimo, anche quando facevo Fazio tornavo la notte stessa a Torino. Essere da soli significa chiederti di continuo: farò bene?, farò male?, magari mi sbaglio. Una cosa così se la fai in due magari è meno faticosa». Qual è la cosa che più l’ha aiutata in questi quindici anni?

«Mi hanno aiutato mia madre e mio padre. Jordan era molto affezionat­o al nonno, guardavano insieme le partite: va sempre al cimitero a trovarlo, sulla lapide gli ha messo il plettro della chitarra. Poi le mie amiche e i miei amici, che sono stati imprescind­ibili, anche solo come secchio per le mie lamentele. E infine l’analista, che credo sia diventato miliardari­o e abbia comprato una villa all’Argentario». Perché Jordan e Vanessa non hanno il suo cognome?

«Quando sono diventati maggiorenn­i avrebbero potuto essere adottati. Io ho già fatto testamento, e almeno questa cosa della linea ereditaria è andata. Ho sempre avuto paura ad affibbiarg­li il mio cognome, sono molto riservati. Vanessa su Instagram ha un profilo privato. Questa estate Jordan è stato male sul set e quando mi ha chiamata per tranquilli­zzarmi e gli ho

«PENSAVO CHE NON SAREI RIMASTA SOLA, NON AVEVO CONTEMPLAT­O LA MALATTIA DI DAVIDE... ESSERE SOLI SIGNIFICA CHIEDERTI DI CONTINUO: FARÒ BENE? FARÒ MALE? UNA COSA COSÌ, SE LA FAI IN DUE, È MENO

FATICOSA»

Cosa farete a Natale? Avete un vostro rito?

«Lui quest’anno ha detto che andrà in Spagna dalla fidanzata. In genere andavamo a Cogne».

Dalla Franzoni?

«Pure Fabio (Fazio, ndr) ha fatto la stessa battuta e adesso con i figli ci va ogni anno. Cogne perché le mie cugine hanno la casa delle vacanze lì e io ci andavo sempre, da prima che arrivasser­o i ragazzi. C’è il pratone di Sant’Orso che è bellissimo, togli il guinzaglio e li fai correre».

Ancora non la chiamano mamma. Non sarebbe un bel regalo di Natale?

«Ma non mi chiamerann­o mai mamma, me ne sono fatta una ragione. Pazienza. Io la faccio, la madre».

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Mill (Londra 1807-Avignone
1858) ritratta nel libro Le regine
della filosofia (Edizioni Tlon)
La filosofa inglese Harriet Taylor Mill (Londra 1807-Avignone 1858) ritratta nel libro Le regine della filosofia (Edizioni Tlon)
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 ?? ?? Selfie di famiglia: Luciana Littizzett­o, torinese, 57 anni, con i figli Vanessa, 27 anni, social media
manager, e Jordan, 24, che lavora in produzione nel cinema
Selfie di famiglia: Luciana Littizzett­o, torinese, 57 anni, con i figli Vanessa, 27 anni, social media manager, e Jordan, 24, che lavora in produzione nel cinema

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