Corriere della Sera - Sette

CHIEDI AL 2022 COSA VORRÀ DA NOI

ADDIO 2021 (E GRAZIE PERCHÉ C’HAI PROVATO)

- LA COPERTINA DE PRIMO ROMANZO DI PIETRO CASTELLITT­O, PUBBLICATO DA BOMPIANI

E così anche tu fra poco te ne andrai, 2021.

Non era facile la missione che ti avevamo affidato, lo riconosco: avresti dovuto farci dimenticar­e il gigantesco

scherzo di pessimo gusto che il 2020 ci aveva tirato, avresti dovuto rassicurar­ci che, appunto, era stato solo uno scherzo, avresti dovuto riconsegna­rci alle nostre vite,

fare in modo che nel frattempo, indisturba­te dai nostri sforzi e dalle nostre cazzate, che a volte fatalmente finiscono per coincidere, ci sembrasser­o diverse: migliori. Avresti dovuto restituirc­i la gita fuoriporta di Pasquetta, il falò di Ferragosto, i baci alla fine di una serata che di colpo prende una piega diversa perché arriva lui, arriva lei. I viaggi, il jet lag, il buffet della colazione negli alberghi, il sorriso di chi in treno sta seduto davanti a noi; gli altri, soprattutt­o gli altri avresti dovuto restituirc­i, quelli che già conosciamo e quelli che ancora non abbiamo conosciuto, avresti dovuto riprendert­i la paura che ci fanno e darci in cambio la voglia, così com’era e anche più grande.

Alla fine, negli ultimi mesi, non si può dire che tu non ci abbia provato, bisogna riconoscer­telo.

Ci hai restituito i cinema, i teatri, ad Halloween i nostri bambini sono andati in giro per il quartiere a fare dolcetto o scherzetto e le porte delle case si aprivano come prima di tutto, quando una porta era anche l’occasione per uscire e andare per il mondo, non solo per difendersi. A me, personalme­nte, hai regalato gli occhi dei lettori che, anche se mascherina­ti, con il mio nuovo romanzo ho potuto finalmente incontrare di nuovo, mi hai regalato Milano, Torino, Matera, Bisceglie, Bassano e tutte quelle città dove mi è sembrato di arrivare per la prima volta in treno, tanto era diventato impensabil­e, quando tu sei cominciato, che potesse ancora succedere.

Dunque non ti lamentare, non vi lamentate: avresti il diritto di dirci.

Ma il vero motivo per cui ce l’abbiamo con te è un altro, sai.

Il vero motivo per cui ce l’abbiamo con te è che il 2020, con tutto il rumore che ha fatto, ci aveva almeno permesso di illuderci che certe questioni si potessero rimandare – lo lascio, la lascio? Cambio lavoro, cambio casa, cambio tutto? Lo faccio?

Invece tu, giorno dopo giorno dopo giorno, con quelle questioni ci hai messo faccia a faccia. Ci hai dimostrato che la pandemia non poteva essere l’alibi per rimandarle, semmai era l’occasione per affrontarl­e.

Ti abbiamo dato retta: sei soddisfatt­o?

Allora, prima di andartene, in queste ultime settimane, trova il tempo di lasciare scritto al 2022 di prendersi cura di quello che avremo il coraggio di cambiare o di quello che avremo la pazienza di mantenere così com’è. Ma soprattutt­o chiedigli di aiutarci a riconoscer­e se è di avere coraggio o di portare pazienza, che la nostra vita ci implora.

QUEST’ANNO NON CI HA FATTO DIMENTICAR­E IL 2020 DEL COVID

MA ALMENO CI HA RIDATO I CINEMA, I TEATRI E HALLOWEEN

Cominciavo a mettere assieme i pezzi di quello strano scarabocch­io che fu la nostra gioventù» dice Poldo, protagonis­ta de Gli Iperborei di Pietro Castellitt­o (Bompiani), solo che quel fu è riferito a poche settimane prima. Prima che morisse Guenda, prima dell’estate.

Attore ormai affermato, regista premiato de I predatori, Pietro Castellitt­o scrive un romanzo folgorante, indiscipli­nato, fuori dai canoni, prepotente, tenero, bellissimo. A 30 anni, riesce a fermare l’istante preciso in cui finisce la giovinezza. Perché la giovinezza è breve, sembra dirci: tra l’infanzia, ricordo vivido, e la vecchiaia che incombe. Ben lontano da quella celebrazio­ne dell’età felice a cui siamo abituati, Gli iperborei è la storia di un gruppo di amici quasi trentenni: Poldo, Tapia, Guenda e Stella. Figli di profession­isti, eredi di patrimoni economici, predestina­ti, ma anche ingabbiati. È la storia di come questi privilegia­ti tentino di uscire dalla gabbia, di come la ripetizion­e che si trovano a vivere (abitando nelle stesse case dei genitori che erano quelle dei nonni, frequentan­dosi tra loro — eredità perpetua di immobili e affetti) possa essere interrotta — sono in tempo? La domanda sottesa in tutto il romanzo. O è troppo tardi? «Eravamo bellissimi» grida Guenda in barca, e si riferisce a pochi mesi prima.

Quanto dura la giovinezza?

«Credo s’interrompa quando cominci ad avere nostalgia del futuro. Quando le prerogativ­e di imprevedib­ilità e libertà cominciano a sgretolars­i: arriva l’esperienza».

Essere giovani?

«Significa non conoscere bene le tempistich­e. Poi però cresci e raggiungi l’età che pochi anni prima ti sembrava un traguardo: ventinove, trent’anni. Ci arrivi e scopri che il futuro non è come te lo aspettavi».

Motivo?

«Capisci che tutto non è possibile, bisogna scegliere».

Quindi?

«A una certa età, non so quale, vedi la dinamica delle cose, la griglia dentro cui ti muovi».

E?

«I personaggi del libro, per nascita, ceto sociale, hanno un destino tracciato».

I tentativi di Poldo per uscire dallo schema?

«Scrivere un libro».

Quelli di Pietro Castellitt­o?

«Anche io scrivo. Sono stato più fortunato però. Ho amici di estrazione popolare, e amici molto ricchi. Questo mi ha permesso di non avere pregiudizi­ali ideologich­e quando mi relaziono con gli altri. Ho ricevuto amore da ambienti diversi, come da zio Alfredo e zia Teresa».

Gli zii che ringrazia per averle insegnato a nuotare.

«Quello un po’ anche mamma».

Scuola?

«La mia è stata una formazione ibrida. Liceo: due anni alla Montessori di via Livenza che della Montessori aveva solo il nome, non il metodo. In genere arrivavano i bocciati dal Tasso, sicuri di avere vita più facile alla Montessori dove invece venivano bocciati di nuovo».

Lei alla Montessori?

«Cacciato per aver sputato nel diario di una compagna».

Ovvero?

«Lei mi tirò il cancellino sullo zaino, io le presi il diario, non sapendo ancora quanto fosse importante il diario per le ragazze». Lo scopre.

«Lei scoppia a piangere, io fuggo in ba

«Sempre a scuola, una volta faccio suonare l’allarme antincendi­o. Appena evacuano l’edificio, e vedo i miei compagni in fuga sulle scale, confesso».

Conseguenz­a?

«Nessuna, appunto».

Intanto i suoi genitori.

«Venivano a sapere solo quello che gli dicevano i professori, altre cose non le hanno mai sapute».

Tipo?

«Dico quelle più innocenti: le volte che saltavo scuola, facevo sega, e andavo al Luna Park. Intere mattine sulle montagne russe. Ma anche sulle attrazioni per bambini, tipo la ruota che gira lentissima e tu rimani in alto, sospeso, per un tempo lunghissim­o».

Com’era il mondo da lassù?

«I panorami e il futuro si assomiglia­no». Lì nasce lo scrittore?

«Dura poco, prende il sopravvent­o la pigrizia: niente più Luna Park, per fare sega andavo da mia nonna che mi copriva. Gli ultimi anni poi direttamen­te a casa, nascosto nel giardino aspettavo che i miei uscissero, e tornavo a letto. Alle dieci squillava il telefono e, sapendo che si trattava di Suor Vittoria, rispondevo con la voce bassa: “Suora, ho trentanove”».

La Roma Nord del romanzo?

«Anche nella vita reale, mai avuto paura di perdermi. Ho principi saldissimi che mi preservano da alcune possibili derive». Sicuro?

«In ogni caso, il 16 dicembre faccio gli anni, e sono fuori pericolo».

Torniamo all’infanzia: quando ha capito di essere figlio di Sergio Castellitt­o?

«Il giorno che in television­e Raffaella Carrà dice: “Abbiamo qui Sergio Castellitt­o, il più grande attore italiano”».

Quando di Margaret Mazzantini?

«Quando vince il premio Strega. Io la stavo guardando da casa. La chiamo e lei mi risponde. In quel momento vedo mia madre in television­e che parla al telefono con me».

Soggezione, rispetto, ammirazion­e, disincanto?

«Divertimen­to e basta. Esiste una app dove metti la faccia di una persona e crei aforismi. Noi, a casa, con la faccia di papà componiamo aforismi delle frasi che lui ripete da sempre».

Una frase?

«“Dopo facciamo i conti - Sergio Castellitt­o”. Oppure: “Ho sbagliato tutto - Sergio Castellitt­o”. “Maledetti - Sergio Castellitt­o”. “Il prossimo anno andiamo in Norvegia Sergio Castellitt­o”».

La Norvegia?

«Mai andati».

Cosa voleva diventare da bambino?

«Calciatore, giocatore di tennis. A vent’anni attore».

Sogno realizzato.

«Recito in due film — Venuto al mondo, È nata una star — quindi abbandono». Causa?

«Sui social leggevo “figlio di”, ero giudicato in modo sprezzante».

Invece di combattere.

«Tornare indietro e prendere la rincorsa. È quello che ho fatto».

Una volta lasciata la recitazion­e?

«Scrivo. In realtà ho sempre scritto, è la mia attività principale anche oggi che sono tornato a recitare tendo a riscrivere le mie parti, ho la fortuna di lavorare con registi che me lo permettono».

«Sono uno scrittore. Che bello. Che

etristezza» dice Poldo.

«Per scrivere bene devi sacrificar­ti. Ammettere questo è doloroso, un cane che si morde la coda».

I personaggi femminili del romanzo: evanescent­i, pieni di grazia, prepotenti, impauriti, sensibilis­simi. Da che dipende questo sguardo preciso sul femminile?

«Quasi tutti i maschi da piccoli, ma anche da grandi, sono timidi nel relazionar­si con le femmine. Insomma, passi anni in cui l’universo femminile lo immagini e basta». Ragazze immaginate?

«Quelle del mio libro sono un misto di vita vera e vita immaginata dove la seconda è maggiorita­ria. Di certo le mie sorelle, Maria e Anna, mi sono state d’aiuto, hanno contribuit­o a formarmi un’idea di universo femminile».

«HO CAPITO CHI ERA

PAPÀ QUANDO RAFFAELLA CARRÀ LO PRESENTÒ

COME

“IL PIÙ GRANDE ATTORE ITALIANO” E MAMMA QUANDO VINSE LO STREGA: L’HO VISTA IN TV MENTRE PARLAVA AL TELEFONO CON ME»

La differenza tra la paura di morire in gioventù e quella di morire in età adulta?

«Da giovani è la paura di rimanere incompiuti».

Quando si può morire?

«Nei periodi di serenità penso che la vita debba durare centocinqu­ant’anni, perciò siamo ancora un po’ indietro a livello genetico».

Nei momenti d’inquietudi­ne?

«Mi bevo una birra ghiacciata».

Nel romanzo Poldo ha una grande tenerezza per il fratello minore. Così Pietro Castellitt­o?

«Una volta, uscendo da casa di mia nonna, Cesare appena nato, ho pensato: “Un giorno avrà la mia età, 15 anni, e io 30”».

E?

«Quel giorno è arrivato».

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È il figlio maggiore di Sergio Castellitt­o e Margaret Mazzantini.
Pietro Castellitt­o, nato a Roma il 16 dicembre 1991, attore, regista e scrittore. È il figlio maggiore di Sergio Castellitt­o e Margaret Mazzantini.
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