IL POSTER CHE RACCONTA LA CITTÀ NUOVO CINEMA ARMANI
Per 37 anni Angelo Mereu è andato a fotografare, mese dopo mese, il grande murale di Emporio Armani in via Broletto. Ne è nato un
libro in cui scorrono uno stile e insieme lo spirito metropolitano.
(Paul Auster e Harvey Keitel non avrebbero saputo fare meglio)
Per quattromila giorni, ogni mattina alle otto in punto, Harvey Keitel, tabaccaio, ha fotografato lo stesso angolo di strada a Brooklyn, nel sole o nel vento, nella pioggia o nella neve. Succede nel film Smoke del 1994 e anche nel racconto di Natale, ispiratore della pellicola, pubblicato da Paul Auster sul New York Times nel 1990. «Non ho mai visto qualcosa del genere», dice nel film William Hurt, scrittore e cliente del tabaccaio, sfogliando l’album delle quattromila immagini.
Se William Hurt fosse passato per Milano una decina di anni prima, qualcosa del genere l’avrebbe vista. Da 37 anni Angelo Mereu, orefice in via Solferino, fotografa, rigorosamente in bianco e nero come Keitel, l’angolo di Brera all’incrocio tra corso Garibaldi (la Brooklyn di Milano?) e via Pontaccio, dove dal 1984 viene affisso il murale dell’Emporio Armani.
«Cominciò per caso. Capitai lì e vidi quella specie di gigantesco schermo cinematografico all’aria aperta nel cuore di Milano. L’impatto fu fortissimo.
Quattro uomini in giacca e cravatta, quattro
yuppies che riassumono in una
sola immagine gli Anni Ottanta a Milano: è il murale
con cui Armani inaugura lo spazio in via Broletto; 1986 il bacio; 1990 la campagna di Emporio scattata in galleria Vittorio Emanuele; la vegetazione in quell’angolo
di Milano.
Tutte le foto del servizio sono tratte dal libro Avevo in tasca una Minox e scattai», ricorda Mereu. La sua emozione derivava anche da una ragione biografica. Nel 1966, appena sbarcato in città dalla Sardegna, Mereu abitava nel palazzo che fa da quinta al murale. Allora, al posto dell’enorme manifesto, c’era povera gente in coda in attesa di entrare all’Eca, il centro comunale assistenza che aveva lì la sede. Quella mattina del 1984 la fila di bisognosi era stata sostituita da quattro yuppies in giacca (destrutturata) e cravatta intenti a leggere il giornale, il soggetto scelto da Giorgio Armani per l’inaugurazione di una campagna pubblicitaria che ha fatto storia. Fu forse il contrasto tra la Milano dell’Eca e quella degli yuppies, la misura del tempo che passava, a far venire l’idea a Mereu. Quello scatto non doveva essere una tantum ma l’inizio di un racconto come il racconto del tabaccaio di Paul Auster.
Ora le foto di Mereu sono raccolte nel libro/ album Una storia milanese, edito da Emporio Armani, con in copertina l’immagine dei quattro yuppies ritratti da Aldo Fallai. Guardiamolo bene quel primo scatto. I modelli di Armani sono sullo
sfondo, il primissimo piano è appannaggio di un bambino e di una bambina (lei vestita in bianco da principessa, lui da Uomo mascherato con cappuccio e mantello). È Carnevale. Sin dall’immagine inaugurale, il fotografo, innamorato di Cartier-Bresson e Salgado, trova il suo format, lo stile del suo racconto: il mondo luccicante della moda sul murale; la vita quotidiana della città sul marciapiede sottostante. Harvey Keitel e Paul Auster non avrebbero saputo fare meglio.
MALAGODI, SPADOLINI E MUSATTI
Negli anni seguenti il nuovissimo cinema Armani proietterà baci appassionati tra uomini e donne bellissimi, inquadrature e atmosfere da film hollywoodiani anni Quaranta (l’immaginario di riferimento dello stilista), mentre sotto scorrerà un diario milanese di comparse che diventano protagoniste. È il pendolo tra sogno e cronaca a segnare il tempo di Una storia milanese. Nel 1987, per esempio, il murale, che propone un mosaico di polaroid, è quasi nascosto dai cartelloni della campagna elettorale in corso. Èun documento di archeologia politica della (sempre più rimpianta?) Prima Repubblica. Spiccano il garofano di Craxi e la falce e il martello del P.C.I.; il liberale Malagodi e il repubblicano Spadolini (capolista sotto il simbolo, nillapizziano, dell’edera). In basso a destra, c’è anche un primo piano del candidato al Senato Cesare Musatti, la cosa più vicina a Sigmund Freud mai espressa da Milano (pare che il professor Musatti fosse nato a Venezia la stessa notte e la stessa ora in cui il dottore viennese passava in treno dalla città; semplice coincidenza?). È una foto che cita contemporaneamente i quadri di Mimmo Rotella (per i manifesti elettorali strappati) e i ritratti di Andy Warhol (per le polaroid del murale).
Certe volte la bellezza promessa da Armani nei manifesti è costretta a lottare per farsi spazio nella giungla d’asfalto che cresce ogni giorno di più. I murali restano impigliati tra le macchine, i semafori, le rotaie dei tram e, persino, devono sottrarsi alle grinfie di un ghisa che, fermo accanto a una Mercedes, colloquia con il guidatore: sta rispondendo a una richiesta di informazioni o sta
appioppando una multa? Spesso piove e tira vento sulla imperturbabile finestra dell’Emporio affacciata su Brera, ma l’occhio del fotografo riesce quasi sempre a cogliere, come un rabdomante alla rovescia, un raggio di sole che sembra uscito dalla più famosa poesia di Quasimodo.
Un murale del 1990 raffigura un monte, una nuvola, una palma e case bianche di stile centramericano. Davanti a questo paesaggio (il sogno di una fuga?) passano una donna con una borsona a tracolla e un uomo che le tiene un braccio sulla spalla e porta un berretto (da poliziotto? da tranviere?). Le foto non hanno colonna sonora, ma questa immagine piena di tenerezza potrebbe avercela. E sarebbe senza dubbio il Memo Remigi sentimental-metropolitano di Sapessi com’è strano sentirsi innamorati a Milano.
Fissati dall’obiettivo di Mereu sfilano negli anni, sotto i murali dell’Emporio, alpini, spazzini, ciclisti, cani. Sulle loro teste brillano i volti e i corpi delle modelle più belle del mondo. E non solo modelle. Il gioco del cinema si fa esplicito. Come nei manifesti dei film si annunciano «Milla
Jovovich and Justin Chambers in Emporio Armani». Altri divi seguiranno: Michael Pitt, Eva Green, Louis Garrel, Megan Fox. E non mancano i divi dello sport come il centravanti ucraino del Milan Shevchenko, il trequartista Kakà, i campioni della squadra di basket dell’Armani Jeans, Rafael Nadal (il più grande dei tennisti contemporanei; non segue dibattito con i federeristi).
AUTOBIOGRAFIA INDIRETTA
Nel 2004 c’è anche un primo dialogo, l’accenno di una sceneggiatura. L’immagine ospita due uccelli notturni. Il primo dice: «È così che piaccio alle donne: rapace». L’altro risponde: «Troppa vita notturna mi fa venire le occhiaie». Nel mondo algido degli stilisti (salvo rarissime eccezioni: anglosassoni soprattutto), c’è posto anche per l’ironia, addirittura l’autoironia. La data in cui compare questa minimale fattoria degli animali spiega tutto. È il 2004: Giorgio Armani compie 70 anni e ci sorride sopra. I murali dell’Emporio sono anche una sua autobiografia indiretta.
Qual è la foto più bella scattata da Mereu? Direi
due. Per il virtuosismo, l’acrobazia e tanta pazienza, quella in cui lo scatto coincide con il passaggio del tram e coglie attraverso il finestrino il bacio da happy end hollywoodiano, ma anche parigino (vedi Robert Doisneau), che campeggia sul manifesto. Per il significato, quella del 1992 che potrebbe intitolarsi Il laburismo secondo Armani. È il murale forse più celebre di tutti. Undici muratori, che stanno costruendo un grattacielo, sono seduti, in un momento di pausa, su una trave con i piedi sospesi nel vuoto sopra New York. Mereu omaggia il ritratto di gruppo in un esterno replicandolo in una polaroid. È un’immagine che dà le vertigini.
Implacabile, meticoloso come un cronista medievale, Mereu affianca alla sfilata della moda la sfilata della vita di strada milanese. Suggerisce interpretazioni, raddoppia i messaggi contenuti nei manifesti. La protagonista del murale 2019 è una scarpa femminile con tacco a stiletto? Allora il fotografo per scattare sceglie proprio l’attimo (fuggente, è davvero il caso di dire) del passaggio dei maratoneti della StraMilano in
un’immagine sognante, sul muro della città si spalanca un nuovo orizzonte; il nuovo mood di Emporio;
l’allestimento del nuovo murale;
nel primo inverno della pandemia, Armani usa lo spazio di via Broletto per mandare un
messaggio di solidarietà alla città un grigio giorno di pioggia e nubi. È lo stesso tono sdrammatizzante, scherzoso con cui pensa i suoi gioielli. È la stessa aria sorniona con cui consiglia agli amici l’abbinamento gastronomico del panettone con la mortadella. È la stessa cura con cui ha disegnato, al tempo del Covid, le miniature del Piccolo Principe più piccolo del mondo, il suo remake della favola di Saint-Exupéry.
Il commento migliore a questo suo reportage lungo 37 anni si trova nella risposta di Harvey Keitel a William Hurt nel film di Paul Auster. Hurt dice al tabaccaio/fotografo che le sue foto rischiano di essere tutte uguali. L’altro risponde: «Sono tutte uguali, ma ognuna è differente dall’altra. Ci sono delle mattine di sole, delle mattine buie, ci sono luci estive e luci autunnali, giorni feriali e fine settimana. C’è gente con l’impermeabile e le galosce, e gente con la maglietta e i pantaloncini. Qualche volta la stessa gente, qualche volta differente. Qualche volta quelli differenti diventano uguali, e la stessa gente scompare. La terra gira intorno al sole, e ogni giorno la luce del sole colpisce la terra da un’angolazione differente».