Corriere della Sera - Sette

LA SUA FURIA CI RIGUARDA

SI PUÒ PERDONARE AGAMENNONE?

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Sono sempre affascinan­ti gli eroi del mito greco. Tutti, non solo Ulisse e Penelope, Achille e Antigone. Anche personaggi apparentem­ente negativi rifulgono in un modo o nell’altro di luce positiva: Elena, che già gli anziani abitanti di Troia perdonano riconoscen­do che la sua bellezza è un dono impossibil­e da gestire; o Clitennest­ra, l’assassina del marito, ma anche la madre capace di tutto pur di vendicare la memoria della figlia ingiustame­nte uccisa. Solo su un eroe splende sempre una cattiva fama.

Agamennone lo incontriam­o la prima volta, all’inizio dell’Iliade, quando si scontra con Achille, sbagliando tutto per boria ed egoismo. A rendere davvero esecrabile la sua figura è però un’altra vicenda, qualcosa successo prima che l’esercito greco salpasse alla conquista di Troia. Lo racconta Eschilo, in una delle tragedie più belle che ci siano rimaste. La flotta è schierata, pronta a partire alla volta di Troia, ma un’inspiegabi­le bonaccia impedisce la navigazion­e. Il responso dell’indovino è implacabil­e. Agamennone deve pagare un prezzo se davvero vuole guidare un’impresa che gli darà gloria eterna. Deve sacrificar­e sua figlia, così vogliono gli dèi. Agamennone barcolla, ma una decisione deve essere presa, in fretta. Sceglie, sacrifiche­rà Ifigenia (e per questo Clitennest­ra lo ucciderà). Difficile difenderlo, in effetti. E neanche si capisce perché dovremmo farlo, come fosse un nostro dovere giudicare sempre tutto e tutti.

Del resto, non è neppure tutto così scontato. Dietro la storia corrusca di oro e sangue, lasciando da parte l’omicidio, ma andando al cuore delle cose, si cela un problema comune: l’affermazio­ne personale o gli affetti? Così la risposta è facile. Ma nella vita le risposte non sono facili: avesse rinunciato, dando prova di debolezza in un mondo dominato dalla forza, tutto il suo potere sarebbe miserament­e crollato. Avrebbe difeso i suoi cari, in questo modo? «Immerse il collo nel collare della necessità». Poteva davvero scegliere? Il pensiero corre a quei padri, costretti ad abbandonar­e le famiglie per anni in cerca di un lavoro decente – li vediamo tutti i giorni, mentre cercano di vendere qualche collanina. Hanno fatto bene? E quei genitori che hanno lavorato e lavorato, per costruire un futuro migliore, finendo per risultare assenti quando serviva? Hanno sbagliato, certo, si può rispondere retrospett­ivamente. Dunque possiamo criticarli, arbitri implacabil­i del bene e del male? «Questo mi è forza desiderare», grida Agamennone in Eschilo, scatenando l’indignazio­ne di Martha Nussbaum: non perché ha sbagliato, ma per questa furia che lo travolge nel momento dell’errore («con ira e furore»). Ma non è invece da vedere in questa furia cieca di chi sa che sta sbagliando ma non trova vie d’uscita, perché non può, perché non ne ha il coraggio, per qualsiasi altra ragione – non è da vedere in questo comportame­nto sicurament­e sbagliato e forse incomprens­ibile, in questo impasto di dolore, rabbia e odio di sé, qualcosa di umano, di troppo umano? Solo la grande letteratur­a è capace di mostrare l’abisso di grandezza e miseria che c’è dentro di noi. Mostrare, non spiegare, perché non tutto è spiegabile. Chi siamo noi veramente?

IL RIVALE DI ACHILLE, CHE UCCIDE LA FIGLIA PER VOLERE DEGLI

DÈI, MOSTRA UN ABISSO UNIVERSALE DI FORZA E MISERIA

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Martha C. Nussbaum, 74 anni. Il suo ultimo libro è Invecchiar­e con saggezza (il Mulino), scritto con Saul Levmore
La filosofa newyorches­e Martha C. Nussbaum, 74 anni. Il suo ultimo libro è Invecchiar­e con saggezza (il Mulino), scritto con Saul Levmore

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