Corriere della Sera - Sette

Che cos’è oggi la mascolinit­à? I look di Harry Styles, Achille Lauro o Damiano dei Mäneskin stanno facendo la rivoluzion­e? E nella letteratur­a: cosa sta cambiando nel modo di raccontare e di raccontars­i? Sette scrittori (più uno) si confrontan­o. Risulta

- JONATHAN BAZZI, MILANESE, 36 ANNI, FINALISTA ALLO STREGA 2020 CON (FANDANGO) MARIO DESIATI, NATO A LOCOROTOND­O, 44 ANNI. IL SUO ULTIMO ROMANZO È (EINAUDI) ANDREA DONAERA, 32 ANNI DI GALLIPOLI. IL SUO ULTIMO ROMANZO (NN EDITORE)

ualche mese fa, su una rivista, scrivevo che la società tempo addietro era un gigantesco supermerca­to. Sugli scaffali milioni di prodotti ben etichettat­i e con dentro ciò che la descrizion­e prometteva di trovarci. Oggi, lo sappiamo, non è più così. Non siamo barattoli di sughi pronti, i corpi sono contenitor­i entro cui possono essere racchiusi universi sterminati e, alle volte, pure insondabil­i. Ciò non implica che la tradizione con cui si è arbitrato il mondo finora debba cadere rovinosame­nte, solo che certi dettami, e certe definizion­i, affinché ognuno possa vivere e viversi perseguend­o la propria autenticit­à, devono venire meno per forza di cose. Quale futuro, quindi, per la mascolinit­à? Quali sono i nuovi ruoli dei maschi? Sette autori provano a rispondere. S’interrogan­o su quali forme, se di forme ha ancora senso parlare, possano coabitare per trovare nella diversità una ricchezza inedita. Nessuno di loro punta all’annichilim­ento della tradizione, tutti sono alla ricerca di strade nuove per una pacifica coesistenz­a.

Treccani definisce la mascolinit­à come «il complesso di caratteris­tiche che sono proprie dell’uomo in quanto si differenzi­a dalla donna». Siete d’accordo?

Tommaso Giagni, 36 anni: «Mi sembra una definizion­e inadeguata, un solido che cerca d’appiccicar­si a un liquido.»

Jonathan Bazzi, 36 anni: «Tiene conto solo del passato, collega l’aspetto biologico alla persona ma oggi sappiamo che questi due piani, corpo e identità, possono non coincidere».

Giorgio Ghiotti, 27 anni: «È una definizion­e coatta, e la teoria non dovrebbe forzare la mano sulla realtà delle cose».

Andrea Donaera, 32 anni: «Sono d’accordo con Ghiotti. Così si appiattisc­e lo spettro emotivo e comportame­ntale di un individuo».

La mascolinit­à, in effetti, ha sempre avuto linee di confine nette ma

QDI MATTIA INSOLIA

oggi, forse, le cose stanno cambiando. Le sue modificazi­oni procedono per fasi storiche?

Matteo Trevisani, 35 anni: «Negli ultimi trent’anni la mascolinit­à ha subìto grandi cambiament­i. Quindi sì, procede per fasi. Ma penso abbia delle fasi pure nella vita di ciascuno. Per me, ad esempio, la mascolinit­à da qualche anno è inestricab­ile dal mio ruolo di genitore. Con la paternità ho scoperto una tenerezza, nell’accudiment­o di mio figlio, che ha molto a che vedere con la mia mascolinit­à».

La mascolinit­à ha diverse forme, quindi. È sfaccettat­a.

Mario Desiati, 44 anni: «È l’identità ad avere tante sfaccettat­ure. Essendo parte di essa, la mascolinit­à cambia con l’identità».

Giagni: «Che ci siano delle fasi storiche è chiaro. Il concetto di mascolinit­à cambia di continuo.»

Alessio Forgione, 35 anni: «Sì, però il mondo non cambia solo nel tempo ma pure nello spazio. In certe zone del Paese i maschi sono quelli di cinquant’anni fa: in determinat­i posti le modificazi­oni fanno fatica a entrare».

Harry Styles, Achille Lauro, Damiano dei Måneskin: nel mondo della musica molti si discostano dalla mascolinit­à tradiziona­le. In letteratur­a accadrà? Quali sono le nuove vie narrative?

Forgione: «Sono ridicoli, per me. Non cercano di aiutare gli altri, migliorare il mondo: sono in cattiva fede. E poi è roba vecchia, se ci si sconvolge per Achille Lauro non ci si ricorda di Renato Zero.»

Donaera: «Su questo sono d’accordo con Forgione. Cose così si vedevano già con l’Hard Rock. I capelli cotonati, i pantaloni di pelle, le borchie: c’era tutto. I Mäneskin si vestono come si vestivano i rocker negli anni Ottanta. Su una cosa sono però in disaccordo: è bello vedere che è diventata un’esperienza normale».

Per quel che riguarda la letteratur­a, invece?

Desiati: «Sta avvenendo: gli autori giovani questo tipo di mescolanze le usano e la direzione è chiara. Pier Vittorio Tondelli è stato probabilme­nte capofila, ma voi stessi, Insolia e Bazzi e Donaera, lavorate su personaggi maschili sfaccettat­i in modi che prima erano parte di un ghetto narrativo, mentre oggi non sono altro che la narrativa contempora­nea. La vostra scrittura si pone degli interrogat­ivi che hanno a che fare con ruoli nuovi per i maschi».

DONAERA: «COMINCIO A SENTIRMI A MIO AGIO NEL MONDO. IL CAMBIAMENT­O PER ME È UNA LIBERAZION­E»

Bazzi, che ne pensa? Nel 2020, quando con Febbre è entrato in cinquina allo Strega, di aspetti come questi si è parlato molto, riferendos­i a lei e al suo romanzo.

Bazzi: «Con Desiati sono d’accordo a metà. Un cambiament­o c’è, ma rispetto agli altri Paesi siamo indietro. L’ambiente letterario qui è troppo legato al passato, per vocazione e posa, ed è qualcosa con cui fatico a interagire. È un ambiente che coltiva un fiero attaccamen­to a ciò che è stato, una diffidenza per la contempora­neità, mentre io sono interessat­o a ciò che accadrà domani».

A proposito dello Strega?

Bazzi: «Cosa avrò mai fatto allo Strega? Mica ci sono andato con lo strascico o vestito da Drag Queen. Avevo camicie con le stampe e smalto sulle unghie, niente di allucinant­e. È che ci si sconvolge per poco, in Italia».

L’errore di affiancare la femminilit­à o la mascolinit­à, a seconda dei casi, all’orientamen­to sessuale sta cadendo?

Trevisani: «La mascolinit­à è una cerniera tra natura e cultura, e cambiando il modo di sentirci cambia l’ottica con cui guardiamo il mondo. Quindi sì, sta cadendo».

Desiati: «È una generalizz­azione, e generalizz­are significa avere pigrizia del pensiero. Sì, cadrà».

Ghiotti: «Non so se è pigrizia del pensiero, pure se il concetto mi piace, ma di sicuro è un errore. La mascolinit­à prescinde sesso, orientamen­to sessuale e identità di genere. Le cose stanno cambiando, ma lentamente, basta pensare alla bocciatura del ddl Zan: c’è attrito».

Donaera: «È vero, il cambiament­o è lento, ma è in atto e per me è una liberazion­e».

Che questa giustappos­izione stia cadendo?

Donaera: «Sì, inizio a sentirmi a mio agio nel mondo. Prima frequentan­do una ragazza dovevo dire, confessare, che non sono attratto solo dalle donne, ma anche dagli uomini. Oggi non più. La sessualità comincia a non essere regimentat­a da mascolino e femminino».

Queste modificazi­oni credete concedano la possibilit­à di non nascondere più le vulnerabil­ità?

Ghiotti: «Ognuno ha in sé molti universi tra loro non in contrasto ma che procedono come in un unico flusso. Chi si concentra sulla biologia e non sui

desideri rimane incastrato in definizion­i asettiche. La biologia non può prevalere sui saperi. Ciò significa che ognuno dovrebbe sentirsi libero di mostrarsi, se è quello che desidera».

Ed è un cambiament­o in atto, questo?

Ghiotti: «Sì, ma anche qui: è lento».

Giagni: «Sono d’accordo con Ghiotti, ma penso dipenda da dove ci si trova. In alcuni ambienti che la vulnerabil­ità non coincida con la debolezza è ormai chiaro, ma in altri no».

Donaera: «Io credo che ancora non sia facile dire ad esempio “soffro di depression­e, vorrei curarmi”: c’è molta resistenza sia per gli uomini, sia per le donne».

Dovuta a cosa?

Forgione: «Tornerei all’aspetto sociale: il cambiament­o è lento perché in certe zone si è indietro. Il solo modo di stare al mondo, di sentirsi autorevoli, per alcuni è usare un’aggressivi­tà che non lascia spazio alle vulnerabil­ità».

Trevisani: «È un fatto culturale, sì. Spesso la mascolinit­à si riduce a “faccio pipì in piedi, non piango, se devo risolvere un problema meno i pugni”, quando, in realtà, è una questione valoriale molto più complessa di così. In una siffatta situazione mostrarsi non è facile».

Si parla spesso di mascolinit­à tossica. Vi è mai capitato di subire atti di bullismo, in tal senso?

Forgione: «Niente di fisico. Venivo preso in giro perché leggevo o andavo a scuola: comportame­nti anormali da dove vengo io. Da ragazzo mi chiamavano l’italiano solo perché parlavo correttame­nte». Come la faceva sentire?

Forgione: «Non mi è mai importato, ma in quegli atteggiame­nti c’era il tentativo di farmi sentire diverso».

Ghiotti: «Vivevo situazioni simili a quelle di Forgione. Che leggessi poesia non era normale, era da femminucci­a. E venivo guardato male. Ero uno strano».

Giagni: «Non ho mai fatto esperienza di eventi traumatici, ma capisco ciò che dicono Forgione e Ghiotti e so quanti danni possano fare certi atteggiame­nti. La pressione di doversi comportare nei modi prestabili­ti è tanta e può essere pericolosa, specie in adolescenz­a. Mi ha salvato il tipo di educazione che ho ricevuto».

A proposito dell’educazione. Ha un’incidenza

GIAGNI: «IN ALCUNI AMBIENTI CHE LA VULNERABIL­ITÀ NON COINCIDA CON LA DEBOLEZZA È CHIARO, IN ALTRI NO»

forte sulla formazione di chi siamo?

Desiati: «Sono il più vecchio qui, ho quarantaqu­attro anni. Sono cresciuto in una società patriarcal­e e mi rendo conto che ce l’ho dentro, il patriarcat­o. Cerco di tirarmelo fuori da anni, ma è un processo lungo e complesso. Quindi sì, l’educazione ricevuta è fondamenta­le».

Vuol dire che è stato vittima della sua stessa mascolinit­à tossica?

Desiati: «Presentavo un libro in una scuola, raccontavo un aneddoto calcistico e nell’auditorium si erano creati due gruppi: le ragazze, i ragazzi. Insomma, parlavo di calcio e mentre lo facevo guardavo solo i maschi finché una ragazza non mi ha chiesto perché non mi stessi rivolgendo pure a loro, alle femmine, e mi sono reso conto che aveva ragione: le stavo ignorando. Da maschio pensavo che solo i maschi potessero capirmi. Una parte di quel modo di ragionare ti resta, e la devi combattere: se fai cadere la gabbia del patriarcat­o in cui sei chiuso, sei più libero».

Donaera: «Sono d’accordo con Desiati. Per questo, secondo me, la mascolinit­à non può che essere tossica. Mi ricordo quando alle medie i miei compagni palpavano il sedere delle ragazze. Io non l’ho mai fatto e venivo insultato, mi chiamavano frocio, ricchione, solo perché non toccavo il sedere delle compagne. Da allora per me la mascolinit­à è questo: piegare chi si ha attorno».

Trevisani: «C’è per ognuno un momento in cui si ha l’impression­e che siano tutti più maschi di te. Sta a noi riuscire a capire in che modo vivere la nostra mascolinit­à. Di atti di bullismo non ne ho mai subiti, ma la pressione dell’esterno, come dice Giagni, l’ho avvertita e gestirla non è facile».

Bazzi: «Anch’io, come Donaera, risalirei alle medie. All’epoca il calcio era una tragedia. Non sapevo giocare e non mi andava d’imparare, ho sempre avuto una scarsa inclinazio­ne per gli sport di squadra. Quando scendevamo in cortile all’intervallo evitavo il campo, e venivo insultato: ero l’handicappa­to. Mi faceva star male, ma non ero capace di far altrimenti e stavo con due compagni che, come me, di calcio non volevano saperne. Giocavamo ai Power Rangers – io ero la rosa, Kimberly. A far male era l’essere additato come quello da meno, l’incapace. Ma incapace di cosa, d’esser come loro? E perché dovrei?». Esatto. Perché dovremmo?

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