FIUTO, CURIOSITÀ, OCCHIO IL “METODO ZERI”
Sono pochi i musei che Federico Zeri, uno dei grandi storici dell’arte che ha portato a scoperte grandi e piccole, ha gratificato con la donazione di opere della sua collezione: i Musei Vaticani (con i reperti archeologici), l’Accademia Carrara di Bergamo e il Museo Poldi Pezzoli di Milano, che da lui ha ricevuto una tavoletta raffigurante Sant’Elisabetta d’Ungheria forse di un collaboratore di Raffaello Sanzio e La Pietà di Giovanni de’ Vecchi (1590/95).
A Zeri e alle sue infaticabili ricerche (oggi a disposizione sul sito della sua fondazione che afferisce all’università Alma Mater di Bologna) il museo milanese dedica una seconda mostra dal 1989. Se alla direttrice del Poldi Pezzoli, Annalisa Zanni, chiediamo la ragione dell’amore per questo museo (egli lavorò sul catalogo dei dipinti affiancando altri studiosi), lei la ritrova nella soddisfazione di Zeri per la bellezza e versatilità delle collezioni, dall’archeologia all’800: «Con tipologie di oggetti diversi, che corrispondono al “metodo Zeri”, una curiosità voracemente volta a tutto: fotografia, botanica, tessuti, parlava in termini di cultura dell’umanità. Era capace di guardare in ogni direzione, aveva una cultura visiva sterminata che gli permetteva di trovare connessioni insperate. Era sempre incuriosito dal caso». Condotte come un detective alla ricerca della personalità dell’artista. Così fu per le opere del quattrocentesco Donato de’ Bardi di cui riuscì a ricomporre tre quarti del polittico (qui esposto) grazie a una serie di indizi come i profili delle aureole. Poi fu la volta di Johannes Hispanus di cui vediamo tre dipinti a olio tutti riconducenti alla Deposizione con opere sparse qua e là in Italia. Nel caso del dipinto Fiori, vaso di fiori e due figure femminili del Maestro della natura morta di Hartford, Zeri vi individua la mano del Caravaggio in bottega dal Cavalier d’Arpino, ipotesi poi caduta. Fino al 7/03/22.
usa i suoi rituali divinatori (fiamme libere, segnali luminosi, rilevamento delle temperature corporee)
Una mostra dedicata alle scoperte del geniale storico dell’arte
Un ex monastero del XII secolo con annessa birreria dei monaci,
trasformato in museo privato preposto alla valorizzazione delle artiste donne, accoglie la prima personale europea dell’artista colombiana, morta nel 1982 a Parigi e soprannominata in patria la loca (la matta) per le sue posizioni radicali e femministe. Se oggi molto spazio viene dedicato alle artiste
africane, quelle sudamericane restano le più neglette. Qui saranno
esposte una cinquantina di sue sculture, realizzate con materiali di
scarto industriale.