LA RISCOSSA DELLE CLASSI LAVORATRICI
SCENE DA ANNI 70
lon Musk ha aumentato il proprio patrimonio del 75% nel 2021, a quota 273 miliardi di dollari. Apple ha sfondato la soglia dei tremila miliardi, un record storico per il valore di Borsa. La pandemia è stata generosa con i miliardari, soprattutto quelli di Big Tech. Ma solo con loro? In realtà l’era del Covid non è stata un remake del tradizionale peggioramento delle diseguaglianze. In particolare nelle due superpotenze che sono anche le maggiori economie mondiali, America e Cina, abbondano i segnali di riscossa delle classi lavoratrici. Paradosso: i miliardari si sono arricchiti più che mai, ma i loro dipendenti rialzano la testa. E la rinascita di un conflitto tra capitale e lavoro si manifesta nell’inflazione.
Cominciamo dagli Stati Uniti. Tre manovre di spesa pubblica (due firmate Donald Trump, una Joe Biden) hanno rovesciato sull’economia americana una quantità di dollari paragonabile in proporzione a quanto fu speso per la Seconda guerra mondiale. In buona parte sono stati aiuti ai cittadini. I lavoratori hanno accumulato risparmi e sono diventati più esigenti verso i padroni. Di qui il fenomeno chiamato la Grande Dimissione: ogni mese oltre quattro milioni di dipendenti si licenziano, spesso sbattendo la porta, perché sanno di poter trovare di meglio. Infatti le assunzioni e i salari salgono. A rafforzare il potere contrattuale dei lavoratori contribuisce il rallentamento dell’immigrazione, che riduce la concorrenza nelle mansioni più basse. A guadagnarci sono soprattutto le buste paga di camerieri, fattorini, autisti, commesse.
Dall’altra parte del mondo la Cina si riscopre comunista.
ENei discorsi di Xi Jinping rispuntano nostalgie del maoismo, un messaggio chiaro. Il presidente è un nazionalpopulista, ce l’ha con i miliardari, promette di ridurre le diseguaglianze. Per quanto possa sembrare una ridondanza, il regime di Pechino ha imboccato una svolta di sinistra, è meno benevolo verso il capitalismo privato, più attento alle condizioni degli operai.
Le maggiori economie del mondo contribuiscono a riaccendere il conflitto redistributivo: la battaglia per la ripartizione della ricchezza nazionale tra capitale e lavoro. Negli anni Settanta, all’apice di lotte sociali, ci furono fiammate d’iperinflazione. È uno scenario che potrebbe ripetersi: un’esperienza nuova per le fasce d’età che vanno dai Millennial a Generazione X, cresciute in un mondo senza inflazione.
Un altro paragone con gli anni Settanta riguarda il confronto tra Nord e Sud del pianeta. Le nazioni povere hanno sofferto per la carenza di vaccini, il “divario farmaceutico” si è scavato. Si sono sfidati un modello privatista – Big Pharma made in Usa – e uno a direzione statale. Quest’ultimo ha perso: i giganti cinesi hanno sformato vaccini mediocri, così si è infranto il sogno di Pechino di usare la diplomazia sanitaria come strumento di egemonia.
Dall’Africa all’America latina non ci sono solo perdenti. Chi ha materie prime – minerali e terre rare – può prendersi una rivincita: l’inflazione premia i detentori di risorse naturali. Non tutti hanno un brutto ricordo degli anni Settanta; furono segnati da un trasferimento di denaro dal Nord a una parte del Sud, all’epoca dei due shock energetici targati Opec, il cartello petrolifero. La vera sfida, oggi come allora, riguarda l’uso delle nuove ricchezze da parte delle classi dirigenti locali.
È VERO, ELON MUSK E APPLE SONO DIVENTATI ANCORA PIÙ RICCHI. MA I DIPENDENTI RIALZANO LA TESTA. IN USA E CINA