PUNIRE GLI AGGRESSORI, NON BARRICARSI
I FATTI DI CAPODANNO E LA BUONA INTEGRAZIONE
n titolo del Corriere racconta tutto in sette parole: «Erano in cinquanta. Ci toccavano, ci spogliavano». Provate a immaginare cos’hanno provate le ragazze che la notte di Capodanno, nella calca di Piazza Duomo a Milano, si sono trovate ad affrontare un’esperienza simile, e quanto ci metteranno a cancellarne il ricordo. Forse non ci riusciranno mai. Parlate con chi ha subito un’aggressione sessuale: di quel momento ha una memoria indelebile. Basta un’immagine o una situazione per innescarla: una strada buia, un pianerottolo, un androne, un sentiero di campagna, una stanza isolata.
Di questa angoscia, purtroppo, gli aggressori non si rendono conto. Qualcuno è in carcere, qualcuno potrebbe finirci, per quelli che verranno riconosciuti — ci sono testimonianze e filmati — è in arrivo il processo. Sono molto giovani, e quasi tutti di famiglia nordafricana. Vorrei farvi notare subito un particolare: i media — anche il Corriere, anche il sottoscritto nella videorubrica Fotosintesi — hanno indicato questo particolare. Dieci/quindici anni fa non sarebbe accaduto: il timore era di incitare gli idioti razzisti. Oggi la diffusione delle immagini via social ha spazzato via questa cautela. Che diciamolo: rischiava di trasformarsi in una ipocrisia.
Il Nordafrica ha portato in Italia una ventata di gioventù, di energie e di idee. Ero in giuria a Sanremo nel 2019 e ho votato con convinzione Mahmood, un ragazzo di Milano, quartiere Gratosoglio: la sua canzone, la sua voce, il suo coraggio. Soldi racconta di un padre egiziano, assente e inaffidabile; ma Alessandro
UMahmoud ha avuto la mamma, la musica e gli amici cui appoggiarsi. Il suo caso è istruttivo, e non è isolato. Tutti conosciamo storie di buona integrazione, in ogni campo (ascoltate I figli di Enea su Radio24 e leggete il martedì Buone Notizie). Ma per arrivare al successo — un successo di tutti, nazionale — occorre guardare le realtà con occhi asciutti. Le isterie di certa destra e i piagnucolamenti di parte della sinistra non servono. È evidente che i colpevoli delle aggressioni di Capodanno vanno puniti; ma è chiaro che qualcosa va fatto per evitare che le frange delle città italiane diventino nazioni parallele, diverse e arrabbiate. In Francia è accaduto, e le conseguenze sono drammatiche. I segnali non sono buoni. Troppe famiglie immigrate in Italia rinunciano a insegnare ai figli maschi il rispetto per le donne; alcune, purtroppo, non sono in grado di farlo. La scuola? Ci provano gli insegnanti eroici, gli altri rinunciano. La pandemia ha fatto il resto: la didattica a distanza, in certe condizioni familiari e sociali, è una patetica illusione. Le gang, non i genitori o i professori, sono il punto di riferimento. Arrendersi, quindi? Barricarsi nelle nostre vie ordinate? Sciocchezze. Una nazione sana non è una grande ZTL; e la divisione — oltre che blasfema — è impossibile, come dimostrano le vicende di Capodanno. Da dove ripartire? Dalle cose in cui l’Italia è brava: le associazioni, il volontariato, le attività scolastiche al pomeriggio, gli oratori, lo sport. Luoghi dove trovarsi, ragazzi e ragazze insieme, conoscersi, passare il tempo, imparare a vicenda: qui bisogna spendere, investire, in strutture e personale. Se qualcuno pensa che siano soluzioni ingenue, e solo la repressione serva, auguri: lo aspettano anni cupi.
DOBBIAMO RIPARTIRE DALLE COSE IN CUI L’ITALIA È BRAVA:
ASSOCIAZIONI, VOLONTARIATO, ORATORI, SPORT