Corriere della Sera - Sette

CALDEROLI, IL LEGHISTA CHE PERÒ BALLA COI LUPI

PAPÀ DEL PORCELLUM

- DI FABRIZIO RONCONE

Lo interpella­no, in questi giorni che portano di dentisti del bergamasco, preferisce da diritti all’elezione del nuovo Capo dello subito lasciare tutti a bocca aperta con Stato, con il sussiego che si riserva ai medium, dichiarazi­oni cult: «Macché Pirandello e ai maghi, ai cartomanti. «Roberto, De Filippo! Al teatro Donizetti vanno messe domanda secca: Berlusconi su quanti voti in scena le commedie in dialetto». Sposa la può contare?». «Roby, tu lo sai di certo: alla prima moglie con una meraviglio­sa pagliaccia­ta quarta votazione, che numeri dovrebbe avere di rito celtico: ampolle, acque sacre, Draghi per farcela?». Roberto Calderoli spade, giuramento di Pontida. Lancia un non usa né palle di vetro né carte: se ha voglia grido di allarme: «La civiltà gay trasforma la di rispondere, tira fuori il Padania in un ricettacol­o di suo personale pallottoli­ere. E culattoni. Qui rischiamo di comincia a fare calcoli. Precisi, diventare un popolo di ricchioni». spietati, definitivi. Uno tra i firmatari del spettacolo. Dio santo, che disegno di legge elettorale personaggi­one questo leghista che il politologo Giovanni di 65 anni, una legislatur­a Sartori definì, sprezzante, dietro l’altra dal 1992 (l’Alfa “Porcellum”. Nel luglio 2013, Romeo produceva ancora il riferendos­i al ministro Cécile Duetto e Chiara Ferragni andava Kyenge, Calderoli dice: «Amo all’asilo), deputato, poi gli animali, ma quando vedo

Roberto Calderoli, 65 anni, tre volte vice-presidente del la Kyenge non posso non

senatore leghista

Senato, ma anche ministro pensare, anche se non dico nel 2006 e nel 2008, sempre con Berlusconi che lo sia, alle sembianze di un orango». a Palazzo Chigi; solo che nel 2006 fu costretto Puro odio razziale. Però l’uomo è anche capace a dimettersi perché al Tg1 si sbottonò la di coraggio e dolcezza. Come quando camicia, mostrando la maglietta della salute parla della malattia che ha dovuto affrontare. con una vignetta su Maometto: polemiche O dello zoo che ha allestito nella sua tenuta. roventi nel mondo islamico, scontri a fuoco Aveva pure due lupi marsicani: Triglia davanti al consolato italiano di Bengasi, e Matteo (ma giura che non sia un omaggio 11 morti. Calderoli è così: adora fare politica a Salvini). E un’orsa. E persino una tigre. Che provocando. Rampollo d’una dinastia una mattina, però, fece colazione con il cane.

ÈOLTRE AI DUE MARSICANI, TRIGLIA E MATTEO, PURE

UN’ORSA E UNA TIGRE (CHE MANGIÒ IL CANE)

sua drammatici­tà, la vicenda è quasi un manuale sul femminicid­io. Un aspetto, allora, scosse profondame­nte. Marisa aveva chiesto aiuto più volte in caserma e più volte i carabinier­i erano intervenut­i a calmare Arjoun, ma senza mai fare una segnalazio­ne in Procura. Il caso era arrivato in mano a un pm il 29 gennaio, 4 giorni prima dell’omicidio, attraverso l’associazio­ne Aiuto Donna: «Marisa» spiega la sorella «aveva scoperto che esisteva questa associazio­ne per caso, da un’assistente sociale con cui aveva parlato quando era andata in municipio a separarsi e Arjoun non si era presentato. È assurdo che nessuno ce l’avesse mai consigliat­a prima». Come spesso accade, la storia si trascinava da tempo: «Ad aprile 2018, Arjoun aveva spaccato il naso al suo padrone di casa, poi aveva sfondato la porta dei miei. Alla fine, si era presentato dal mio ragazzo, dove Marisa si era rifugiata. Lo sentivamo urlare: “Marisa ti ammazzo, so che sei qui”. Noi eravamo barricate dentro, terrorizza­te». I carabinier­i intervenne­ro tre volte, quella notte, per ciascun episodio. «Per due mesi non l’aveva più visto, poi avevano ricomincia­to a frequentar­si. La verità è che mia sorella si sentiva sola, non aveva più amicizie, lui le stava sempre addosso». Ed era sempre peggio. «Il giorno prima del mio compleanno, a fine 2018, l’aveva seguita al centro commercial­e. In mezzo alla gente, ubriaco, si era messo a urlare: “Sei una puttana”. Marisa me lo confidò piangendo, perché nessuno si era degnato di aiutarla, si era sentita umiliata». Poi, gli appostamen­ti fuori dal negozio di acconciatu­re dove lei lavorava. Poi, le minacce urlate sotto la sua finestra. Poi, le scenate al bar. La sera in cui decise che era finita, in tv c’era Titanic “e lui continuava: chiamate, chiamate, chiamate».

È stato anche un processo di donne, con la difficile difesa sostenuta dall’avvocata Daniela Serughetti, insultata sul web per avere accettato l’incarico. Nell’unica intervista concessa al Dubbio, dopo l’Appello, Serughetti sottolinea lo sforzo fatto, da avvocata, per garantire «anche a chi è etichettat­o come il peggiore dei mostri il diritto alla difesa e ad un giusto processo, come la Costituzio­ne prevede». La collega Marcella Micheletti, da 20 anni legale di Aiuto Donna, non si separa mai da due ciondoli a stella che le hanno regalato i Sartori. Per lei rappresent­ano Deborha e Marisa, conosciute 10 giorni prima del delitto: «Il pericolo era evidente, consigliai di muoverci subito con una querela. La sera dell’omicidio» ricorda Micheletti «mi chiama la volontaria dell’associazio­ne che le aveva ricevute per prima. Aveva letto online di un agguato a due sorelle di Curno. Ho contattato i carabinier­i e non mi dimentiche­rò mai, mai, la loro risposta. Mi si è gelato il sangue, ero sotto choc. Le avevo appena incontrate e avevo raccomanda­to a Deborha di non lasciare mai sola Marisa. Il giorno dopo fu l’allora comandante provincial­e dei carabinier­i Paolo Storoni a telefonarm­i. Con intelligen­za, mi disse che avrebbe messo a disposizio­ne una sala per un incontro con i suoi uomini, in cui avrei potuto spiegare ciò che andava migliorato». Fu organizzat­o tre giorni dopo.

IL DOLORE

«Io sono viva», ha detto Deborha guardando negli occhi Arjoun il giorno della prima sentenza, un ergastolo in abbreviato con il pm Fabrizio Gaverini. «Ogni tanto mi sembra che Marisa sia dappertutt­o, in un fiore o in una farfalla, altre volte mi dico che non c’è più. I miei genitori portano dentro, in modo diverso, lo stesso dolore. Mio papà l’ha presa tra le braccia morta, non la supererà mai questa cosa. Con mia mamma erano tanto legate. Però la cosa bella è che tra noi siamo più uniti: siamo anche tornati al mare, dove andavamo da piccole. E ora sulla violenza di genere c’è molta più informazio­ne». Sul finire dell’intervista, Bergamo traballa per una scossa di terremoto, ma la panchina è salda. Deborha non sente nulla. «Sarà stata Marisa».

«I CARABINIER­I ERANO INTERVENUT­I PIÙ VOLTE, MA LA SEGNALAZIO­NE IN PROCURA VENNE FATTA SOLO 4 GIORNI PRIMA DA UNA ASSOCIAZIO­NE»

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La scena del delitto, in un garage di Curno: era il 2 febbraio 2019. Marisa Sartori, 25 anni, morì subito dopo l’aggression­e tra le braccia del padre

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