Corriere della Sera - Sette

García Marquez: No, meglio

-

Intervista all’autore colombiano: «Ho dovuto scriverlo per far arrivare al grande pubblico l’altro mio libro» (sei anni dopo riceverà il Nobel). Lodi a Cuba: «Accerchiat­i dal capitalism­o, hanno reinventat­o la vita». Il paragone senza modestia: «Sentivo affinità con Faulkner, anche lui caraibico». Sull’Italia: «Va a sinistra. Io ho simpatia per il Pci e per il manifesto». Pollice

verso su Solgenitsi­n: «Lui contro di me, io contro di lui. E non si capisce che vuole dire»

a Cia è un fantasma, che si nasconde ovunque e nessuno sa precisamen­te dove» esordisce García Márquez, forse il più noto scrittore latino americano, da noi avvicinato durante i lavori del tribunale Russell. La domanda riguardava i finanziame­nti dei partiti, le insinuazio­ni smentite a più voci sopra questo o quel contributo economico.

«Tornando a casa, molti possono trovare una busta apparentem­ente innocente, che contenga denaro» spiega

García Márquez raccontand­o insieme e andando alle radici del problema.

«I soldi si spendono presto, senza chiedersi da quali tasche provengano. Poi salta fuori, quando non rimanga nemmeno un centesimo, che i quattrini erano della Cia».

Lo scrittore sorride. «In Colombia, dirigo una rivista politica alternativ­a. Negli ultimi tempi abbiamo avuto due attentati, con le bombe. Se gli americani della Cia m’offrissero paradossal­mente dei mezzi, accetterei il loro aiuto. Servirebbe­ro alla causa della sinistra, no? Però, sopra una pagina bianca tipo pubblicità, raccontere­i ogni cosa. Senza aspettare qualche grosso scandalo, qualche rivelazion­e inopportun­a».

L’ultimo libro di García Márquez, incentrato sulla figura d’un dittatore, L’autunno del patriarca, suggerisce un’altra domanda politica. Nella prima metà del nostro secolo, la storia conobbe grandi e sinistri tiranni. Bastino i nomi di Hitler, di Mussolini o di Franco. Essi dominavano con gesti assurdamen­te carismatic­i le folle, volevano mutare il corso del destino. Potranno, a giudizio di Márquez, tornare a intristire il mondo figure altrettant­o tragiche e assolute? «La dittatura individual­e è superata» risponde, se abbiamo capito bene. «Andiamo verso una dittatura di classe». Quale classe? Potrebbe essere la borghesia? «Mi auguro, combatto, affinché sia il proletaria­to. Ma come essere però certi?».

— Che cosa accadrà nel nostro Paese?

«È evidente, in Italia, che le forze politiche vanno verso sinistra. Non faccio distinzion­i, a questo proposito, tra Pci o manifesto. Ho molta simpatia tanto per l’uno quanto per

Ll’altro». Gli facciamo notare che non ha nominato i socialisti. «Non so fino a quale punto i socialisti siano realmente di sinistra». Non spiega però di quali socialisti stia parlando. Quarantase­tte anni, baffi brizzolati e capelli lunghi pochi centimetri, García Márquez gioca a nascondino con i giornalist­i. Si lascia lungamente cercare e attendere.

— Nessuno scrive al colonnello, a nostro giudizio, rimane la sua opera migliore.

«Credo anch’io», risponde García Márquez, premendo sulla «c» e sulla «d» come fosse sardo: «Ho dovuto scrivere Cent’anni di solitudine perché quel mio libro raggiunges­se il vasto pubblico» prosegue, parlando uno scorrevole italiano, perfeziona­to da lunghi soggiorni nel nostro Paese.

— Si sentiva forse...

«Faulkner? In effetti sentivo delle affinità con questo scrittore. Il perché ho scoperto durante una mia visita nel profondo sud degli Stati Uniti. Sembrava tutto sommato un Paese colonizzat­o, com’era colonizzat­a la mia Aracataca. Si dimentica, spesso, che Faulkner è un uomo dei Caraibi. Tutto qui. La mia letteratur­a nasce però alle sue radici dal riscatto dell’America Latina, dal bisogno di trovare una nostra autonomia».

I progetti di García Márquez sono mitemente ambiziosi, perfettame­nte organizzat­i da una intelligen­za pacata e forse contadina. Adesso, spiega, sta scrivendo un «lungo, lungo» reportage su Cuba.

«Quella cubana – afferma – è una delle esperienze più ricche del secolo, questi uomini e quelle donne hanno inserito nelle loro tradizioni il comunismo rivoluzion­ario. Si canta, laggiù, si balla e si lavora. Durante un lungo periodo, accerchiat­i dal mondo capitalist­ico, i cubani hanno reinventat­o la vita. Sì, anche quella casalinga».

García Márquez guarda l’orologio, affogato in un giubbotto a scacchi bianchi e rossi. Gli chiediamo cosi, mentre vorrebbe concludere, di Solgenitsi­n e del dissenso sovietico. «Sono contro Solgenitsi­n perché lui è contro di me. Sono contro di lui, soprattutt­o perché non è chiaro quello che vuole esprimere».

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy