LA BANCA D’ITALIA INSEGUE...
IL PRIMATO DEI NAPOLETANI SUL COLLE (TRE SU DODICI)
Si può leggere la storia dei presidenti della Repubblica come trama politica, lotta tra fazioni, braccio di ferro tra partiti. Oppure si può leggerla come album di famiglia di una classe dirigente. Che tipo di persone, anzi, che tipo di uomini, visto che donne non ce ne sono mai state, sono arrivati al Quirinale? Con quali studi, quale provenienza geografica, quale cursus honorum?
La prima cosa che salta agli occhi è che su dodici sono stati napoletani: Enrico De Nicola, Giovanni Leone e Giorgio Napolitano. Nessun’altra città vanta un simile record. Solo Sassari spicca con due capi di Stato: Antonio Segni e Francesco Cossiga. Tre sono stati i piemontesi, ma di diversa provenienza: Luigi Einaudi dalla provincia di Cuneo, Giuseppe Saragat nato a Torino, e Oscar Luigi Scalfaro di Novara. Due i presidenti toscani, Giovanni Gronchi che era di Pontedera e Carlo Azeglio Ciampi di Livorno. Un ligure, Sandro Pertini, e un siciliano, Sergio Mattarella, che sta per concludere il suo mandato. Curiosamente, mai romani o milanesi.
Se ne può trarre qualche indizio sulla formazione delle nostre classi dirigenti? Forse sì. Per esempio: Giovanni Leone, grande avvocato figlio di avvocato, aveva esercitato nello studio di Enrico De Nicola, a sua volta grande avvocato. E gli succedette al Quirinale esattamente venticinque anni dopo. La scuola giuridica partenopea ha evidentemente avuto un peso. Anche Giorgio Napolitano ha studiato
tre presidenti giurisprudenza a Napoli. Giuristi e accademici sono stati Segni, Cossiga e Mattarella, giudice è stato Scalfaro, a dimostrazione del fatto che siamo il Paese del diritto, e gli studi di legge sono stati a lungo la prima scelta dei giovani migliori. Ma le ragioni che hanno portato tutti costoro sullo scranno più alto della Repubblica hanno più a che fare con la storia dei partiti di massa, Democrazia Cristiana e Partito Comunista in primis, che funzionavano a loro volta come scuole capaci di selezionare classe dirigente. Dovevi essere molto bravo, aver studiato molto, eccellere, per fare strada in un partito. Non è più così: oggi i politici vengono allevati a social e talk, e lo studio non c’entra niente.
Sempre dalla politica, ma da una categoria speciale, provenivano Saragat e Pertini. Entrambi formatisi nell’esilio antifascista, cui erano stati costretti da un regime che aveva sciolto tutti i partiti e per primo proprio il Partito Socialista di Matteotti, l’eroe ucciso da una squadra di sicari di Mussolini. Inutile dire che anche questa generazione è finita.
Resta la Banca d’Italia. Luigi Einaudi e Carlo Azeglio Ciampi, entrambi strappati al loro ruolo di economisti per servire la Repubblica: il secondo eletto al primo scrutinio, il primo invece solo al quarto, quando il candidato di partenza della Dc di De Gasperi aveva fallito. La scuola della Banca d’Italia non sembra invece ancora esaurita: raggiungerebbe infatti il primato di Napoli se portasse, con Mario Draghi, il terzo ex governatore al Quirinale.
CURIOSAMENTE AL QUIRINALE MAI UN ROMANO NÉ UN MILANESE. DOPO DUE EX GOVERNATORI, QUELLA SCUOLA NON PARE ESAURITA