Corriere della Sera - Sette

«COMPLIMENT­I, ALLA SUA ETÀ!» BAGNO DI UMILTÀ ALL’EPOCA DEI SOCIAL

SÌ, MI SONO APPENA LAUREATO

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Qualche giorno fa mi sono laureato. In Storia, Antropolog­ia e Religioni, alla Sapienza di Roma. Scusate il ritardo, avrebbe detto Troisi. Ma per me si è trattato soprattutt­o di un risarcimen­to morale postumo nei confronti di mio padre. Nei miei vent’anni avevo avuto troppa fretta di vivere per resistere alla seduzione del giornalism­o e completare gli studi. Lui non aveva apprezzato. Nei (non) favolosi 70, molti di noi preferivan­o l’azione alla contemplaz­ione. Se rendo edotti i lettori di una faccenda in fin dei conti personale è però per un altro motivo, anzi due. Il primo è ciò che ho scoperto dell’Università italiana vedendola dal di dentro. E sotto una patina di polvere che ricopre aule troppo grandi e fredde, studi di professori troppo piccoli e affollati, corsi di laurea troppo astrusi e comunque troppi, ho intravisto anche motivi di speranza per il futuro.

Per esempio un sistema informatic­o, pur mastodonti­co e spesso labirintic­o come è inevitabil­e nell’Università più grande d’Europa (113 mila studenti), che mi ha consentito di fare tutto, e intendo proprio tutto, senza dover andare fisicament­e in sede. Grazie ad esso l’Università ha retto alla pandemia. Non è cosa da poco. Credo che se ne debba rendere merito ai servizi amministra­tivi, all’abnegazion­e e alla cortesia di tanti impiegati, che rispondono al telefono come vorresti che facesse la tua banca o il tuo medico di base; e anche a un gruppo di studenti ingaggiati dalla Sapienza per dare spiegazion­i ai loro colleghi su tutta la complessit­à di corsi, iscrizioni, domande: un vero servizio “peer-to-peer”.

Il secondo motivo è invece più anagrafico. Ho scoperto che lo studio è un grande antidoto contro l’invecchiam­ento. Mi ha colpito che quasi tutti i docenti che mi hanno esaminato si siano sentiti in dovere di farmi i compliment­i perché, «alla sua età accetta ancora il rischio di mettersi in gioco». Ho compreso così quale sia oggi uno dei più grandi pregiudizi contro gli anziani: l’idea che siano ormai fuori gioco, che non abbiano cioè più né i mezzi né la voglia per competere, e che un falso orgoglio possa spingerli a non accettare le sfide e le prove, il giudizio e la valutazion­e. Secondo me è il contrario: l’età ti induce piuttosto a impegnarti, perché una brutta figura sarebbe più indigesta. Mi sono ben presto accorto di studiare più di quanto i tempi e i modi di un esame universita­rio avrebbero potuto apprezzare.

Ma tant’è. Perché una volta che hai avuto gli amori, una volta che hai avuto i figli, una volta che non sei più “in carriera”, non c’è davvero niente di più bello al mondo che studiare. La storia, poi, mette un argine alla superficia­lità imperante (vizio congenito anche del nostro lavoro). È «scienza degli uomini nel tempo», per dirla con Marc Bloch, e ti insegna presto a diffidare del suo «diabolico nemico: la mania del giudizio». Un salutare bagno di umiltà nell’arrogante epoca dei social, del «qui e ora», e del pregiudizi­o ignorante.

HO CAPITO CHE «ALLA MIA ETÀ» NULLA È DI PIÙ BELLO DELLO STUDIO.

MA QUANT’È FORTE IL PREGIUDIZI­O CHE CI VUOLE FUORI GIOCO!

volte nelle trasposizi­oni cinematogr­afiche dei grandi romanzi accade un piccolo miracolo: sullo schermo appaiono protagonis­ti che sono esattament­e come ce li eravamo immaginati. La realtà ha la forma della fantasia. Quei volti, tratteggia­ti prima dall’ immaginazi­one, esistono davvero. È quello che è successo con Gaia Girace e Margherita Mazzucco, Lila –Raffaella Cerullo– e Lenù –Elena Greco– nella serie tv L’amica geniale, tratta dai romanzi dei record di Elena Ferrante. A loro, giovanissi­me, è toccata in sorte l’interpreta­zione di due dei personaggi più belli, complicati e amati della letteratur­a contempora­nea, ma sono state capaci di una magia. Oggi la serie, targata Hbo-Rai Fiction, che viaggia di pari passo con i volumi della tetralogia, pubblicata in Italia da e/o, è giunta alla sua terza stagione: Storia di chi fugge e di chi resta. Sarà in onda su Rai 1 e Rai Play nella prima metà di febbraio, dopo il Festival di Sanremo. Dietro alla macchina da presa, questa volta, c’è Daniele Lucchetti. Saverio Costanzo, regista dei primi due capitoli, rimane tra gli sceneggiat­ori, con la stessa Elena Ferrante, Francesco Piccolo e Laura Paolucci. Quando Gaia Girace e Margherita Mazzucco spuntano dallo schermo del computer, ognuna nella propria casa napoletana, avvolte in un maglione bianco la prima, blu, la seconda sembrano conservare anche dal vivo i caratteri delle due donne create da Ferrante. Più enigmatica e lunare Gaia, pacata e determinat­a Margherita. Sono ragazze di 18 e 19 anni a cui, all’improvviso, nel 2017, è cambiata la vita. Chi erano Gaia e Margherita prima di Lila e Lenù?

Gaia Girace: «Una studentess­a al primo anno di liceo linguistic­o a Vico Equense, giocatrice di pallavolo. La passione per la recitazion­e è arrivata all’improvviso. Ho iniziato a studiare teatro, non pensavo ad altro. Ho fatto il provino per L’amica geniale e sono stata

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