PAZZI PER FERRANTE
LA BAMBOLA GETTATA NELLO SCANTINATO CHE RACCONTA UNA STORIA DI ADDII E RITORNI
LENÙ O LILA, CHI È GENIALE? COME RACCONTARE L’AMBIGUITÀ
DI CARATTERI E MUTAZIONI
In di Caterina, Elsa Morante racconta la storia di Caterì, bambina poverissima che non ha nulla di che mangiare e che maltratta la sua bambola Bellissima, ma ne piange la scomparsa quando uno stracciarolo la porta via di casa per un soldo.
Con una bambola comincia anche la storia di Lila e Lenù. Ma se in Morante, la bambina e la bambola formano la coppia emotiva del racconto, qui le bambine sono due come due le loro figlie di pezza e di lana. Le bambole, simbolo di una maternità surrogata e compagne di crescita, ricorrono nell’opera di Ferrante già a partire da
dove è proprio il furto di una bambola a muovere i fili neri della trama. Ma nel cortile del rione Lila e Lenù raccontano qualcosa di nuovo: il gioco spietato e confortevole dell’amicizia tra donne. Subito vengono messe in luce le paure e i terrori (incarnate da Don Achille) e le prove di forza da superare insieme, tenendosi per mano. Poi la differenza (la bambola di Lenù è bellissima e quella di Lila stracciata) e la crudeltà minuta, impalpabile, ma che da bambine scopriamo quando l’altra rovina, butta o striglia un giocattolo da noi amato.
Questo fa infatti Lila, in uno dei suoi primi gesti (mi impressionò molto perché era cattiva): lancia la bambola di Lenù nello scantinato. Quel gesto, preciso e demoniaco, anticipa gli strappi, le vergogne e i ritorni d’affetto che caratterizzeranno il rapporto tra le due bambine, poi ragazze, poi donne. Anche nella sua versione cinematografica il gesto di Lila è brutale: in un attimo Tina – la bambola – sparisce nell’oscurità.
Il grande fascino della scrittura di Ferrante, di come è riuscita a delineare questa amicizia decennale e complessa, per me sta già in queste prime e poche pagine di
dove le due fingono di non giocare insieme pur essendo vicine e sole nel cortile, dove Lenù, vogliosa d’amicizia, doppia e mima i gesti di Lila nel gioco, dove scambia con lei una corrente elettrica di delusioni e affabilità che solo le donne, da bambine come da adulte, conoscono, mentre cercano un modo per farsi amare.
non è la storia di un’amicizia. O meglio: riduttivo definirla tale. E di certo non è questo il motivo del successo, né l’ambientazione (Napoli dagli Anni 50 a oggi), e neppure la trama. È tutto insieme, e non solo. Un nucleo potentissimo impossibile da replicare – per quanto in tanti ci abbiano provato. Niente è fermo, ogni cosa mutabile (come suggerisce il problema di smarginatura di Lila). Persino l’amica geniale non si sa bene quale sia: tra le domande ricorrenti nei motori di ricerca: “chi è l’amica geniale delle due?”
Lo sono alternativamente, e insieme. Così come la più cattiva, la più desiderata, l’emancipata, la ribelle. Quando credi che la più intelligente sia Elena, ecco emergere Lila («Chi ti ha insegnato a leggere e a scrivere, Cerullo?» «Io»). Quando pensi che la più emancipata sia Lenù, ecco Lila in fabbrica.
E dunque l’ambiguità dei caratteri, l’esattezza delle mutazioni, l’ambivalenza degli eventi come il rapporto sessuale di Lenù con Donato Sarratore, lei sedicenne, lui uomo fatto nonché padre di Nino: orrore e piacere – racconta Elena.
Ovvero l’impronunciabile a cui si riferisce Lenù scrittrice («la necessità di raccontare in modo franco ogni esperienza umana, anche ciò che pare impronunciabile e che perciò tacciamo persino a noi stesse»). Questo significa la Ferrante per la letteratura: un balzo in avanti verso l’indicibile.
Un indicibile che contiene perdita e conquista: allora lungo la storia precipitano bambole, romanzi chiusi in scatole («quasi che fosse lei, Lila in persona, a precipitare, coi suoi pensieri, le parole, la cattiveria con cui restituiva a chiunque colpo su colpo, il suo modo di appropriarsi di me come faceva con ogni persona o cosa o evento o sapere che la sfiorasse»). Precipitano persone, matrimoni, morti.
Precipitano e tornano in altre forme (le bambole diventano libri, i quadernetti della Fata blu il romanzo d’esordio di Elena). Ciò che si perde e riconquista mutato è la vera emancipazione, in un tempo largo dove niente sparisce davvero.