E AMO I ROMANZI PERCHÉ SONO AMBIGUI COME GLI UMANI
SCRIVO PER SENTIRMI AMATA
Dev’essere stata la luce che aveva Milano dopo il temporale, o il fatto che per la prima volta parlavo in pubblico dopo un anno, dev’essere che tutta quella realtà, insieme e di colpo,
pareva irreale. Per questo durante il mio incontro alla rassegna Il tempo delle donne, ormai 4 mesi fa, l’ho detto –
che scrivo perché voglio sentirmi amata.
Non è una cosa che uno scrittore dovrebbe fare. Uno serio lo eviterebbe, consapevole che certe affermazioni espongono al sarcasmo, accade a chiunque confessi un bisogno. È ammettere una debolezza: ma non era esattamente di questo che si parlava al festival? Della forza e della vulnerabilità, di quanto siano intrecciate, e necessitino l’una dell’altra, e spesso coincidano, e sia lo sguardo di chi giudica ad ascrivere un comportamento al coraggio oppure alla resa.
Ci penso da agosto. Dalla sera in cui, mentre eravamo soli in cucina, gli altri già seduti fuori a tavola sotto il pergolato, un amico che conosco da trent’anni mi parlava di sua figlia, prossima alla pubertà, e scherzando mi disse che sperava non diventasse, da grande, simile a me. Sorrisi, biascicando che non ero poi così male, dai, avevo pure pubblicato dei libri. Lui invece ribadì – e mi pareva non sorridesse più, ma forse mi sbaglio – quella mia stranezza che fin da bambina ho sentito addosso come un errore, una colpa alla quale per tutta l’esistenza ho cercato di riparare. Da ragazza, passando la versione, o facendo temi per gli altri (anche per lui), da adulta lavorando come fosse sempre una questione di vita o di morte, e poi scrivendo. Ho scritto come si chiede perdono.
Ciò che alle persone pare strano, forse, è la fragilità che non si può mascherare connessa a un’indubbia tenacia: insomma, la contraddizione. Credo di essere finita a occuparmi di romanzi perché loro lo sanno, che di contraddizioni siamo fatti, ce lo sbattono in faccia senza nascondimenti, più sono buoni e meno ci abbindolano. In un mondo che includerebbe soltanto i produttivi e gli efficienti, i romanzi sanno che la possibilità di inciampare, di deragliare, è una forma di sovversione.
Al Tempo delle donne ho detto che scrivo perché voglio essere amata, ma avrei dovuto spiegare meglio. Scrivo perché a volte mi sono sentita rifiutata e indegna, e questa sensazione prima o poi la provano tutti. Scrivo perché ho bisogno di essere accettata, come chiunque, il mio amico e sua figlia compresi. Scrivo per cercare riscatto e non mi sento riscattata mai. Scrivo per rivendicare il nostro diritto di trionfare e di perdere, di essere limpidi e imperscrutabili, qualcosa che difficilmente si può afferrare del tutto, perché siamo ambigui, cioè umani.
QUELL’AMICO NON SAPEVA CHE FORZA E FRAGILITÀ SONO
INTRECCIATE. SI STUPIVA DELLE MIE CONTRADDIZIONI