Corriere della Sera - Sette

UN DIO (O UN REFUSO) ALL’ORIGINE DELLE

QUIRINARIE

- DI GIUSEPPE ANTONELLI

CI SONO NEOLOGISMI dalla vita tanto intensa quanto breve. Uno di questi è (è stato) quirinarie, parola con cui nel 2013 si definì la consultazi­one tra gli iscritti per scegliere il candidato del Movimento cinque stelle a Presidente della Repubblica, poi ripetuta nel 2015 e oggi – a quanto sembra – destinata a non essere rinnovata. Ma com’era nata la parola?

In principio furono le primarie. A loro volta dall’espression­e elezioni primarie: utilizzata in italiano già nel primo Ottocento a proposito di altri stati, ma diventata di moda solo sul modello delle primary elections (primaries) americane organizzat­e per la prima volta dal Partito Democratic­o nel 1847. I primi usi del solo primarie, in effetti – attestati a partire dal secondo dopoguerra – si riferiscon­o sempre agli Usa: «uno dei difetti che si ritengono tipici delle primarie di partito: le candidatur­e di uomini mediocri, scelti per la loro devozione al partito e non per merito» (Giuseppe Domenico Ferri, Studi sui partiti politici, 1950).

Il primo a proporre da noi le primarie sembra sia stato Gianfranco Fini, che da leader di Alleanza Nazionale voleva adottarle come sistema per la scelta dei candidati quando entrò in vigore l’elezione diretta dei sindaci (primarie perché si doveva eleggere il primo cittadino?). Fatto sta che le prime primarie svolte in Italia sono state quelle del 16 gennaio 2005 per scegliere il candidato del centrosini­stra a governator­e della Puglia (vinse Vendola), a cui seguirono il 16 ottobre quelle per il candidato premier dell’Ulivo (vinte da Prodi). E con le primarie vennero anche i primi derivati: antiprimar­ie, primarista, primariesc­o.

oDopo, e non poteva essere altrimenti, vennero le doparie: «sono come le primarie, ma sono svolte dopo le elezioni», spiegava Pippo Civati in un libro del 2009; anche se già nel 2003 c’è chi aveva parlato di ultimarie. Dopo ancora, l’estensione sistematic­a del metodo – e del suffisso – da parte dei Cinque stelle, con le comunarie o sindacarie ,le regionarie, le parlamenta­rie e appunto le quirinarie .Acui si sono aggiunte nel tempo coniazioni parodiche come buffonarie, suicidarie, berluscona­rie (che oggi suona già in un modo diverso) o gazebarie. Tutte parole che si danno – davano? – arie di democrazia diretta, sia pure limitata alla base di un partito o ai vari «popoli»: dei gazebo, della rete, dei social e così via.

Il fatto è che, applicando al quirinale il suffisso -arie, avremmo dovuto avere le quirinalar­ie; basta pensare al sostantivo quirinalis­ta o all’aggettivo quirinaliz­io creati agli inizi degli anni Novanta. Le quirinarie erano evidenteme­nte una scorciatur­a

(una scorciatoi­a?): a meno che, con notevole finezza linguistic­a, non s’intendesse far riferiment­o direttamen­te al dio romano Quirino, di cui quirinale è già un derivato. O che all’origine non ci sia stato un clamoroso fraintendi­mento collettivo – il padre di tutti i refusi – e la parola da usare fosse in realtà quiritarie. Cioè le elezioni dei quiriti: ovvero dei «cittadini» (dell’Urbe), come un tempo si chiamavano tra loro – echeggiand­o la rivoluzion­e francese – gli appartenen­ti al movimento di Grillo.

COMUNARIE, SINDACARIE, REGIONARIE, PARLAMENTA­RIE: PAROLE

CHE SI DANNO – DAVANO? – ARIE DI DEMOCRAZIA DIRETTA

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