IMPERFETTE EPPURE SINCERE, TI FANNO AMARE ANCHE LA TUA
LE FAMIGLIE IN LETTERATURA,
Ha ragione Tolstoj nel celeberrimo incipit di Anna Karenina: «Tutte le famiglie felici si assomigliano tra loro,
ogni famiglia infelice è infelice a modo suo»? Cos’è una famiglia? Come funziona? Esistono davvero famiglie felici? La letteratura risponderebbe di no. Un no complesso,
con molti spiragli di luce e persino liberatorio.
Tra le tante voci con questo effetto, ce n’è una a mio avviso magistrale nel disvelamento delle dinamiche della famiglia: quella di Jonathan Franzen. E c’è una frase del suo romanzo Le Correzioni, l’unica che mi tatuerei: «A cosa serve la vita? Non lo so. Neanch’io. Ma non credo che serva a vincere», che con la famiglia c’entra parecchio. Ciò che Franzen sa dire meravigliosamente è che in famiglia, come nella vita, non si vince e non si perde. Credevo che, dopo un romanzo così, Franzen non avrebbe più descritto padri e madri, figli e fratelli con la stessa chirurgica verità e potenza. Invece Crossroads mi ha sferrato una secca botta in testa, di quelle che non stordiscono: risvegliano.
Ciò che emerge nitidamente in questo nuovo romanzo è che in famiglia si impara, col tempo, con pazienza, a comprendere. A volte addirittura a perdonare: che tuo padre sia questo e non un altro, che tua madre sia anche come non la immaginavi, che tua sorella si comporti da stronza, che tuo fratello sia tossicodipendente. Franzen riesce a farti amare le famiglie che racconta, e di riflesso la tua, perché ne rivela i problemi strutturali, e ti invita a provarne tenerezza anziché rabbia. Ti mette di fronte a domande impossibili: come puoi amare la stessa persona per tutta la vita? Come puoi voler bene a genitori che non hai scelto e ti deludono? E a figli che crescendo ti si rivoltano contro?
Si può, a patto di ascoltarsi.
Ricordo bene, da piccola, la più indelebile delle pubblicità Barilla: quella della bambina con l’impermeabile giallo che perde lo scuolabus in una giornata di pioggia e lungo la strada trova un gattino. L’espressione sorridente, piena di consenso, della mamma e del papà quando rientra per pranzo ed estrae il cucciolo dall’impermeabile mi ha sempre fatta sentire sbagliata. Io non rientravo per pranzo: facevo il tempo pieno. I miei genitori erano separati. Se avessi portato a casa un gattino, mia madre si sarebbe arrabbiata non poco.
Ecco, la letteratura è il contrario delle pubblicità. Tolstoj, Franzen, decostruiscono il mito della famiglia perfetta, e restituiscono bellezza e cittadinanza a tutte le famiglie imperfette che abitiamo. Dove imperfezione non sta per sconfitta o condanna. Al contrario: è solo nella sincerità delle nostre imperfezioni che possiamo amarci, solo attraversando la vita insieme, sbagliando, chiedendo scusa, senza dannarci l’anima per assomigliare a un’astrazione. La felicità non è uno status quo, ma una grazia che c’è a volte; una tenace, fragile, riconquista.
NON È COME NELLA PUBBLICITÀ: QUI CHI VIVE INSIEME SBAGLIA MA ASCOLTA E PERDONA. E LA FELICITÀ È UNA GRAZIA FRAGILE