IL POTERE SIAMO ANCHE NOI CRITICARLO È GIUSTO (MA CAMBIARLO DI PIÙ)
Il potere è repressivo, si ripete spesso. Per Michel Foucault, però, il punto è un altro. Il problema del potere è che è costitutivo, che crea insomma, e non che reprime. Non è sempre stato così, ma di questo dobbiamo preoccuparci oggi. Un tempo, in effetti, chi era al potere si curava solo di punire eventuali violazioni, e in questo senso era un potere solo negativo, repressivo appunto: interveniva solo in caso di violazione, per il resto lasciava fare. Con l’avvento dell’epoca moderna cambia tutto, e il governo diventa “pastorale”: l’obiettivo è ora salvare i sudditi, le loro anime in particolare. Il potere diventa allora produttivo: non si limita a punire, ma cerca di promuovere comportamenti corretti, così da produrre sudditi, e più tardi cittadini, che siano come devono essere, integrati nella società in cui vivono. Disciplina dall’interno, non reprime dall’esterno. Il potere diventa onnipresente – Foucault parla, con una formula ad effetto, di «microfisica del potere»: le scuole, gli ospedali, le prigioni e le altre istituzioni contribuiscono tutte al modellamento di un corpo sociale omogeneo. Non esistono individui liberi, indipendenti. Siamo «soggetti», il prodotto di queste relazioni di potere, perché il potere si occupa di questo, delle nostre vite (e infatti si parla di «biopolitica»). La sfida diventa allora come resistere, sempre che sia possibile.
Le tesi di Foucault hanno goduto di grande prestigio in questi ultimi anni, e con qualche ragione. In effetti, aiutano a comprendere meglio il funzionamento complesso della nostra società, e dei rapporti di potere che la attraversano. Di più, ci ricordano l’importanza di un atteggiamento vigile. Se la società funziona come dice Foucault, una certa dose di sospetto – resistere ai racconti edificanti di chi ha il potere – è necessaria, perché il potere non è neutrale, ma cerca appunto di decidere chi dobbiamo diventare. Rimane però un’obiezione.
Tutte queste teorie partono sempre dal presupposto che il potere sia per così dire un’entità «altra», onnipresente ma distante, invisibile, irraggiungibile. Di nuovo: in parte è così, c’è poco da fare, e basta pensare a una società come Facebook, e al modo in cui interferisce con le nostre vite, con tutti gli scandali che l’accompagnano, per rendersene conto. Ma questa non è l’unica possibilità, perché in una società democratica il potere siamo anche noi. L’affermazione può sembrare ingenua, ma non manca di una sua verità. Perché se è vero che le istituzioni ci costituiscono, non meno vero è che noi possiamo decidere che tipo di istituzioni vogliamo e, nel caso, possiamo anche lottare per cambiarle, rendendole magari più inclusive o più giuste (la scuola, da questo punto di vista, è un esempio eclatante). Anche questa è politica, no? E qualche risultato lo ha ottenuto, migliorando la vita di tanti lavoratori, grazie allo Stato sociale, che non è solo imposizione dall’alto, ma anche difesa di chi ne ha bisogno. Criticare è fondamentale, in una società complessa, per evitare omologazione e appiattimenti, ma non è sufficiente. Perché nessuno si è mai salvato da solo.
FOUCAULT LO COMBATTEVA COME ENTITÀ ONNIPRESENTE E DISTANTE. IN DEMOCRAZIA C’È UN’ALTRA STRADA: COSTRUIRE