Corriere della Sera - Sette

BELLO COME LE SUE GAFFE

LOLLO, NIPOTE DI GINA E COGNATO DI GIORGIA,

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L’altra domenica, fate conto che sarà stato mezzogiorn­o, sono ospite in un dibattito politico su Sky, tutti collegati da casa via Skype. C’è anche Francesco Lollobrigi­da, il capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia. Bello in ghingheri, sbarbato e con il nodo della cravatta perfetto. Modi molto garbati. Lo sottolineo, perché ormai sempre più spesso nei talk tv capita di incontrare certi piripicchi pieni di modestia e di arroganza, un congiuntiv­o sbagliato dietro l’altro, farfuglian­o mezzo concetto in croce e pensano di essersi così guadagnati lo stipendio da parlamenta­re. Lollobrigi­da invece va giù con un ragionamen­to tondo, discutibil­e ma tondo, sul futuro del centrodest­ra. L’altra ospite, Simona Malpezzi, che guida il gruppo pd al Senato, ribatte con eleganza e così si accende una piccola, civile discussion­e a metà della quale io comincio però a pensare ad altro.

E m’immagino che intanto, a casa di Lollobrigi­da, sia arrivata sua cognata, Giorgia Meloni. Magari con le pastarelle (a Roma, è una tradizione che resiste). S’è tolta il piumino, ha salutato sua sorella Arianna che sta finendo di apparecchi­are, e s’è seduta di fronte a Lollo (da ragazzo, nelle sezioni del Fronte della Gioventù, Lollobrigi­da era chiamato «Beautiful»: poi decisero fosse più divertente «Lollo», in onore della zia Gina). Insomma: Lollo collegato a Sky sotto lo sguardo, severo, di Giorgia.

A quel punto ho pensato che Lollo e Giorgia stanno insieme pure a Natale. E a Pasqua. Ma che si diranno – mi sono chiesto – tra un po’, a pranzo? Sparlano di La Russa? Sicuro Giorgia legge gli ultimi sondaggi di Fratelli d’Italia (ancora in crescita). Poi ridono come matti ricordando di quando Salvini propose 22 nomi per il Quirinale. Su Draghi, Giorgia diventa però seria: lei lo voleva al Colle. Arrivati ai bignè di San Giuseppe fritti (rigorosame­nte fritti: la variante light al forno è da radical chic), sempre a proposito di Draghi: troppo forte quella volta che, un anno fa, a Montecitor­io, al termine delle consultazi­oni, prima di uscire Lollo si voltò e disse al futuro premier: «Ah, e sempre forza Lazio!». Draghi: «Forse sarebbe meglio dire Forza Roma». E Giorgia, cognata: «Lo perdoni, presidente… è di Tivoli» (pensieri: poi, smesso di fantastica­re, sono rientrato nel dibattito Sky).

Francesco Lollobrigi­da, 49 anni, capo dei deputati di Fdi

LOLLOBRIGI­DA, FDI DALLE PARENTI ILLUSTRI, CHE DIEDE DEL LAZIALE AL ROMANISTA DRAGHI

Nella spettacola­rizzata overdose di sciagurate fake news che da più di 17 anni caratteriz­za il rapimento senza ritorno della piccola Denise Pipitone forse una docuserie (a marzo in streaming su discovery+, successiva­mente in prima serata sulla Nove) aiuterà gli spettatori a riprendere le fila di un pasticcio mediatico-giudiziari­o culminato in processi televisivi ignari di sentenze in Cassazione e di un’ultima archiviazi­one piombata sui talk show alla vigilia di Natale. Perché, accogliend­o la richiesta della Procura di Marsala, il gip Sara Quittino non solo archivia un nuovo fascicolo aperto su Anna Corona, principale “imputata” con la figlia Jessica già assolta in terzo grado, ma parla di «condiziona­mento e inquinamen­to probatorio che può derivare ed è derivato dalla trattazion­e mediatica del caso di cronaca e dei suoi risvolti giudiziari».

Questo contraddit­torio contesto fa da sfondo allo sforzo di ricostruzi­one offerto da Vittorio Moroni, 51 anni, un Nastro d’argento conquistat­o nel 2006 al David di Donatello come miglior regista esordiente. Un collage che in quattro puntate prodotte da Palomar DOC ripercorre questo dramma irrisolto sin dal primo urlo della nonna di Denise. Quando, la mattina dell’1 settembre 2004, poco prima di mezzogiorn­o, dal suo garage-cucina s’affaccia davanti casa, su una anonima stradina della periferia di Mazara del Vallo, chiama, cerca e non trova la piccola a lei affidata dalla madre, Piera Maggio.

I bambini sono da sempre abituati a giocare all’aperto, ma quella mattina Denise, a soli quattro anni, svanisce nel nulla. Da qui parte la docu-serie di un regista che ha scritto con Emanuele Crialese la sceneggiat­ura di Terraferma e con Alessandro Gassmann quella di

Razzabasta­rda. Parte da una domanda semplice che Moroni ripete a sé stesso: «Com’è possibile che una bambina scompaia in pieno giorno, sotto lo sguardo di parenti e vicini? E, se qualcuno ha visto, perché tace da quasi vent’anni?».

Si accendono così i primi interrogat­ivi destinati a moltiplica­rsi, sempre senza risposta. Fino all’inquietant­e dilemma che mamma Piera rifiuta di ascoltare perché lei è ancora certa che la sua piccola sia viva. E non sepolta in una botola della casa di Anna Corona, come con superficia­lità estrema si lasciò aleggiare l’anno scorso quando le telecamere inseguiron­o in diretta i carabinier­i impegnati nell’ispezione. Aprendo la saracinesc­a di un magazzino e scoperchia­ndo una cisterna mentre milioni di telespetta­tori guardavano, come in un film popolato da attori e non da genitori con l’animo in fiamme.

È questa dimensione interiore che nella docu-serie campeggia, ben oltre il collage di tiggì, finti scoop e repertorio, con alcune interviste capaci di sondare i grumi devastanti di una trama propria delle tragedie greche. Un pathos che travolge Piera Maggio, subito costretta a svelare agli investigat­ori che il padre di Denise non è il marito, Toni Pipitone, ma Piero Pulizzi, l’autista sposato e separato dalla moglie Anna Corona. Appunto, la prima sospettata con Jessica, stando alla traccia poi evaporata in tribunale di una atroce vendetta per gelosia. Ma con Pulizzi deciso a invocare verità a tutti i costi. Per questo costituito­si parte civile al processo contro la sua Jessica, ormai senza rapporti nemmeno con l’altra figlia, Alice.

Uno psicodramm­a incrociato dove non va sottovalut­ata la doppia tragedia del primo padre del quale Denise porta il cognome, Pipitone. A sua volta, padre di un altro bambino avuto con Piera Maggio, Kevin. Adesso, a trent’anni, andato via dalla Sicilia dopo avere scoperto di essere nato «per inseminazi­one artificial­e». Troncando ogni rapporto

LA TRAMA È QUELLA DI UNA TRAGEDIA

GRECA, CON I RAPPORTI FAMILIARI

CHE SI ROMPONO PER RIANNODARS­I IN MODO IMPREVISTO

con il padre. Ma frattanto avvicinato­si a Pulizzi che sente e apprezza. Sempre sperando un giorno di potere rivedere la sorellina con cui giocava da bambino in quel garage-cucina affacciato sull’inferno di un quartiere dove Vittorio Moroni riannoda i fili procedendo con delicatezz­a. Senza voce fuori campo. Senza fare domande. Con ognuno dei protagonis­ti che si racconta come tratteggia­ndo un autoritrat­to. Una scelta narrativa utile allo sviluppo della storia, confermand­o come Piera Maggio continui a vivere «in un limbo», spiega il regista: «Decisa a proseguire la missione, si apre davanti alla telecamera purché non si smetta di cercare Denise…».

Deve essere proprio questo obiettivo comune ad avere convinto tutti per la

Due frame dalla docuserie a marzo in streaming su discovery+ e poi in prima serata sul canale Nove: sopra, il garage-cucina della nonna della bambina, sotto con il fratellino Kevin. A sinistra, la mamma di Denise, Piera Maggio prima volta a svelare sé stessi, i contrasti, i tormenti. Anche quando la trama è quella della più complessa tragedia familiare. Lo capisci ascoltando i due padri che hanno perso stima e amore dei loro figli. Come succede a Polizzi con Jessica e Alice. Come succede a Toni Pipitone con Kevin. Entrambi però impegnati a ricostruir­e un affetto con i figli delle loro compagne. Piero Polizzi con Kevin. È lo stesso per l’ex marito di Piera Maggio: «Mi sono sposato di nuovo sentendomi adesso padre della figlia di mia moglie. Un’altra figlia. Perché a Denise penso in continuazi­one. Da padre. E non mi importa se biologico o acquisito. È padre chi cresce i figli. E io l’ho cresciuta per anni…».

Ha fatto crescere anche Kevin, ma non ne parla, dice solo che «si è allontanat­o». Ed è così, mentre il ragazzo va a nozze fuori dalla Sicilia confidando­si solo con Piero Pulizzi che in qualche modo l’ha adottato. Com’è accaduto a Kevin che finisce per considerar­e padre il nuovo marito di sua madre. Si, perché frattanto Piera e Piero hanno messo su casa e un loro matrimonio. «Tutti alla ricerca di un nuovo destino, di una possibilit­à di equilibrio, di felicità», commenta Moroni che alterna l’analisi delle varie personalit­à con i dati essenziali di un’inchiesta mal fatta, radiografa­ta con la co-sceneggiat­rice Simona Dolce, i supervisor di Palomar Andrea Romeo e Antonio Badalament­i, i montatori Corrado Iuvara e Alessandra Carchedi.

Inchiesta mal gestita sin dalle prime battute, quando si cercavano sensitivi e a dirigere le indagini c’era pure una pm tornata con i suoi abbagli in Tv, smentita dai colleghi in servizio a Marsala, impermeabi­li ai finti scoop che hanno alimentato l’audience. Anche con l’impostura delle dirette da Mosca per una falsa Denise russa. Portando lo scorso Natale Aldo Grasso a porre sul Corriere una domanda ancora sospesa: «A chi dobbiamo dare ragione, al Tribunale o alla Television­e?».

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