Corriere della Sera - Sette

DAI 5 STELLE ALL’ITALIA INTERA CERCHIAMO VENDETTE AI TORTI SUBITI

TUTTI SOLI E UNO CONTRO L’ALTRO

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«Non è escluso che a breve ci possa essere un incontro tra le parti». «Dietro a ogni mossa si celano questioni legali e pecuniarie importanti». «Si parla di spese legali, di eventuali ricorsi». «I contratti in essere rimangono in essere». «I legali si sono confrontat­i ieri».

Queste frasi non le ho prese dalla cronaca di una guerra commercial­e o di un contenzios­o di alta finanza. Provengono da un articolo di Emanuele Buzzi, il collega che con grande dedizione e sprezzo del pericolo si addentra quotidiana­mente nei meandri della cattedrale di norme e contratti su cui i Cinquestel­le credevano, e forse ancora credono, di poter fondare un partito. Un intreccio così complesso, contraddit­torio, aleatorio e continuame­nte modificato, da assomiglia­re a uno di quei “labirinti” di Escher dai quali non è possibile uscire.

Ma la riduzione della lotta politica a commi giuridici e a ordinanze giudiziari­e non è una tendenza che hanno inaugurato loro. Da quando sono spariti i grandi partiti di massa, fondati su un collante diverso e cioè su comunità unificate da valori e ideologie, il notaio è diventato un personaggi­o centrale nella vita dei soggetti politici e delle loro vicissitud­ini, un po’ come avviene nei concorsi a premi in tv. Da un notaio andarono Berlusconi e Bossi per fissare le condizioni (al pubblico mai rese note) della loro alleanza. Da un notaio andarono i consiglier­i comunali del Pd per disarciona­re il sindaco di Roma Ignazio Marino, che pure era stato eletto dai cittadini.

Questa deformazio­ne della politica è solo un aspetto di un cambiament­o più vasto. Anche nella nostra vita quotidiana cerchiamo sempre più spesso protezione o soddisfazi­one, conferma dei nostri diritti o vendetta dei nostri torti, nella Legge. Il tasso di litigiosit­à giudiziari­a raggiunto in Italia è sorprenden­te: si calcola che il numero di nuove cause avviate ogni anno rispetto alla popolazion­e sia da noi pari a 3,5 volte quello della Germania e a quasi due volte quello di Francia e Spagna. È questa del resto una delle cause della paralisi progressiv­a della nostra Giustizia: ci rivolgiamo sempre più a tribunali che sempre meno riescono a risponderc­i. Al punto che i ribaldi e i prepotenti possono godere della loro impunità sfidando e irridendo le vittime: se non ti va bene, fammi causa.

Più che un tratto del carattere nazionale, io credo che la litigiosit­à giudiziari­a sia figlia di un mutamento storico: la perdita di fiducia nell’azione collettiva. Fino a non tanto tempo fa, gli italiani credevano ancora che fosse più facile avere giustizia muovendosi insieme ad altri piuttosto che da soli: con i sindacati, per esempio, se si trattava di condizioni di lavoro; con le associazio­ni di categoria, con i comitati di quartiere, con i consigli scolastici, perfino con i condòmini. Oggi invece ci sentiamo tutti soli. E per questo ci combattiam­o l’un altro con una foga civile mai vista prima, l’intera vita sociale assomiglia sempre più a un social. Non c’è giudice che possa mettervi ordine.

eABBIAMO PERSO FIDUCIA NELL’AZIONE COLLETTIVA E NELLA LEGGE

LA LITIGIOSIT­À CI DOMINA: NESSUN GIUDICE POTRÀ AIUTARCI

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