Corriere della Sera - Sette

PERÒ MAI CIECAMENTE IL CONTROLLO È ESSENZIALE

VIVERE VUOL DIRE FIDARSI

- Una questione di fiducia

Socrate, come noto, sapeva una cosa soltanto: che non sapeva nulla. Un’affermazio­ne che non manca di stupire e che infatti lasciava perplessi gli ateniesi. Proprio non riuscivano a credergli: come si può affermare qualcosa del genere – che non si sa nulla? Al giorno d’oggi, poi, con tutto a portata di dito, una simile confession­e sembra ancora più assurda. Fino a che non consideria­mo cosa conosciamo davvero. A quel punto ci renderemmo conto che viviamo in una specie di mondo incantato. Non sappiamo come funziona il telefonino con cui facciamo di tutto, e ancora meno sappiamo dell’aereo su cui voliamo. Sappiamo come sono stati coltivati i pomodori che mettiamo nell’insalata o le mele che affidiamo ai nostri figli dicendogli che fanno bene? E quando il dottore ci prescrive una cura, scrivendo con la sua calligrafi­a illeggibil­e il nome di un farmaco incomprens­ibile, sappiamo forse cosa prenderemo? Per non parlare poi della politica. Sappiamo che una decisione è stata presa e ci viene riferita anche una ragione per quella decisione. Che cosa ci garantisce che sia quella vera e che non ci si nasconda altro?

Insomma, Socrate sarà stato anche una persona bizzarra. Ma non è che noi siamo così sapienti. E allora perché facciamo quello che facciamo – salendo sull’aereo, andando dal dottore, accettando la legge che è stata votata in Parlamento? Perché, senza neppure rendercene conto, ci fidiamo. La grandissim­a parte delle nostre azioni e delle nostre interazion­i si fonda sulla fiducia. Il problema allora è quello di stabilire se facciamo bene a fidarci.

Se ascoltiamo la saggezza popolare, la risposta è evidenteme­nte no: fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Ma può una società sopravvive­re nel momento in cui nessuno si fidasse più degli altri? Siamo animali politici, diceva Aristotele, ricordando­ci che da soli non possiamo vivere, che abbiamo bisogno gli uni degli altri, e quindi dobbiamo stare insieme (siamo politici, insomma, perché ci ritroviamo nella polis, in una comunità). Ma come possiamo stare insieme se non ci fidiamo gli uni degli altri? Come ha osservato la filosofa inglese Onora O’Neill, il punto non è tanto se bisogna fidarsi o no, bensì quello di capire dove possiamo riporre la nostra fiducia. Detto diversamen­te, soprattutt­o nelle nostre interazion­i sociali, nella politica insomma, il problema è quello dell’affidabili­tà. Fidarsi è necessario, ma non meno importante è controllar­e, come recita un altro proverbio, questa volta russo: fidati, ma verifica. Fidarsi significa accettare di non sapere tutto: quindi dobbiamo affidarci. Ma questo affidarsi non può essere cieca accettazio­ne, scrive ancora Onora O’Neill: deve sempre fondarsi sulla possibilit­à di una verifica. Per questo una società ben organizzat­a è una società che permette la possibilit­à dei controlli.

Se teniamo davvero alla nostra società non ci resta che attivarci insomma, partecipan­do in modo vigile. Senza dimenticar­e un’altra domanda, non meno fondamenta­le. Ci chiediamo sempre di chi ci dovremmo fidare. Ma gli altri farebbero bene a fidarsi di noi?

UNA DOMANDA NON PUÒ ESSERE DIMENTICAT­A:

GLI ALTRI FAREBBERO BENE AD AVERE FIDUCIA IN NOI?

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La filosofa nordirland­ese Onora O’Neill, 80 anni, è membro indipenden­te della Camera dei Lord. Ha scritto il saggio

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