COME FUNZIONANO RIME E SILLABE NEI PEZZI DI SANREMO
SAPETE CHE COS’È IL
A SANREMO LA MUSICA È CAMBIATA, le parole molto meno. Un po’ di parolacce, certo: ma è almeno dal tenente di Faletti – correva l’anno 1994 – che non fanno più paura a nessuno. Quest’anno ne ho contate sei, cantate da interpreti disparati quanto a età, sesso e genere musicale di provenienza. Nell’edizione 2008, per dire, erano state 5 (due nel recidivo Marco Masini, già celebre per titoli piuttosto coloriti); l’anno prima altrettante: una anche nel brano di Milva, scritto proprio da Giorgio Faletti.
Particolarmente scarsi i neologismi, rispetto a un passato recente di canzoni come quelle di Gabbani («Internettologi soci onorari al gruppo dei selfisti anonimi») o dello Stato sociale («E fai il candidato poi l’esodato … fai il figlio d’arte, la blogger di moda … e fai l’influencer … il bioagricoltore, il toyboy … il motivatore, il demotivato»). Il più in vista èun Virale nel titolo del brano di Matteo Romano, scelta non felicissima in epoca di pandemia.
Quanto a lingua e stile, il gusto dei testi è sembrato quest’anno attestarsi sul classico, con grande prevalenza del tradizionale tema dell’amore. Quello che è suonato nuovo, invece, è il ritmo. Non solo il ritmo della musica, anche – forse di più – quello delle parole: il modo in cui si appoggiano sulla musica per creare la melodia. Il flow, come nel rap si chiama – con vocabolo inevitabilmente inglese – l’andamento che ogni artista imprime alla propria pronuncia (cash flow, si potrebbe ironizzare, sulla scorta di Checco Zalone e della sua parodia Poco ricco).
La-languidi, bri-brividi
L’esempio più lampante è proprio la canzone vincente: Brividi, di Blanco e Mahmood. Un sogno alla Modugno che parte col verbo volare e lega i brividi del titolo alla paura di non saper amare, tra vipere e veleni, cieli di perle e bici di diamanti. Ma i testi di canzone si devono ascoltare. E allora ecco la trasformazione: le sequenze di parole che continuamente ac-celerano e rallentano, libere rispetto alla sintassi dei versi. Sinuose s’inseguono senza aspettare le pause, per poi frenare e frantumarsi in sillabe spezzate: sassi sulla gabbia di vetro della grammatica canzonettistica. «La tua paura cos’è? Un mare dove non tó-cchi mai»; «Que-stó vele-nó», «Lo ve-dì sono qui».
Un tratto ereditato dal rap, appunto; anche se già sperimentato da Tiziano Ferro, che aveva spinto questa particolare forma di enjambement fino al «rima - nere» di Sere nere (in mezzo, varie battute musicali). Un tratto che fa tutt’uno con il continuo cambio di ritmo nelle rime, in cui gli accenti scivolano (ragione-e / prigione-e) e le classiche rime tronche (qui / così) si alternano con le piane (mattino / vino) e con le sdrucciole del ritornello (brividi / esprimermi): quelle che la retorica chiama appunto rime ritmiche, perché imperfette anche in poesia già da secoli. La fluidità del flow, insomma, che finalmente anche a Sanremo scavalca i confini tra i generi e fa di questo un punto di forza.
POCHI I NEOLOGISMI, NEI TESTI PREVALE L’AMORE. MA LA PRONUNCIA CAMBIA RITMO APPOGGIANDOSI ALLA MUSICA