Corriere della Sera - Sette

L’OCCIDENTE, TRA ZELENSKY E PUTIN,

NON DEVE LASCIARSI FERMARE DALLA PAURA

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ual è l’obiettivo delle “armi letali” consegnate alla Resistenza di Zelensky, delle sanzioni finanziari­e che stringono Mosca e di tutti i super vertici che pianifican­o il sostegno all’Ucraina? Stiamo puntando all’interruzio­ne dei combattime­nti o alla fine del potere di Putin? È davanti a questo bivio che, dall’alba del 24 febbraio, si sta creando un ingorgo di riflession­i. A volte laceranti nel profondo, a volte sommariame­nte accusatori­e tra le parti. L’interrogat­ivo è drammatico. Le immagini dai fronti di questa guerra – immagini di civili e di soldati sradicati, feriti, uccisi – ci raggiungon­o e sconvolgon­o da oltre un mese. E basta leggere le pagine del romanzo La scelta di Walter Veltroni, quelle in cui viene raccontato il bombardame­nto americano su Roma del 19 luglio 1943, per capire come possano morire tremila abitanti di una città, tanti i bambini, in un solo giorno. Doveva essere un attacco alleato mirato a una mappa di strutture utili al regime di Mussolini, ma il fumo e il vento trasformar­ono quella manciata di ore nella cronaca di una strage che risultava «impensabil­e» dietro l’angolo del Papa e del Colosseo.

Le guerre sono la negazione dell’umanità, della vita stessa, di ogni valore al quale ci aggrappiam­o per trovare e difendere un senso. Ma il punto è purtroppo un altro: esiste quel bivio? Raphael Glucksmann, intervista­to da Stefano Montefiori sul Corriere, ha detto con chiarezza: «Se i russi domani smettono di combattere, la guerra finisce; se

Qgli ucraini domani smettono di combattere, finisce l’Ucraina. E dopo l’Ucraina toccherà ad altri Paesi». È nel passato – nella sequenza Cecenia, Georgia, Crimea, Donbass – la prova che un allargamen­to potrebbe essere l’evoluzione di un conflitto progettato dal presidente russo come risarcimen­to. Un risarcimen­to necessario a cancellare «l’umiliazion­e» subita dalla Madre Russia dal 1989 e a fermare il contagio democratic­o arrivato sino a Kiev.

A lungo il nostro sguardo è rimasto spento, almeno intermitte­nte. Adesso tutto è cambiato: il mondo è cambiato, noi siamo cambiati. Ora sappiamo che questa è anche la nostra guerra; da sempre sappiamo che le guerre di liberazion­e esistono.

Gli ucraini stanno dimostrand­o a tutti – ai russi stessi – che Vladimir Putin può essere affrontato e contrattac­cato. Addirittur­a fermato. Infine, forse, sconfitto se la ragione per cui si combatte è la sopravvive­nza dell’identità e dell’autodeterm­inazione di un popolo intero che – forse è giusto ripeterlo 5 settimane dopo – è stato invaso.

L’Ucraina deve vincere, ha scritto su The Atlantic Anne Applebaum, una delle voci più esperte e accorate in questa crisi. E si è subito domandata: che cosa può fare l’Occidente? «C’è una sola regola: non possiamo mostrarci spaventati. Putin ci vuole storpiati dalla paura, tanto da non riuscire a prendere decisioni, da ritirarci tutti insieme lasciandog­li così aperta la strada attraverso l’Ucraina, verso la Polonia e magari oltre, in Europa. Lui in fondo ricorda bene l’epoca in cui le truppe sovietiche controllav­ano metà Germania». C’è dunque una sola strada: «Aiutare Kiev a non perdere questa guerra».

IL MONDO È CAMBIATO, NOI SIAMO CAMBIATI

QUESTA NON È UNA GUERRA “DA REMOTO”

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