NEI SALOTTI TV DOVE IMPAZZANO QUELLI CHE «NON SE LA BEVONO»
I “PUTINIERI” D’ITALIA:
Confesso che sono affascinato dai meccanismi mentali che possono portare persone apparentemente colte e informate a dare la colpa della guerra a tutti tranne che a chi l’ha programmata, preparata, cominciata e perseguita. Potrei capire un’equa distribuzione delle responsabilità del passato, si sa che «la ragione e il torto non si dividono mai con un taglio così netto che ogni parte abbia soltanto dell’una dell’altra», come diceva il Manzoni. Ma una volta conclusa l’analisi storica, poi c’è l’oggi. E l’oggi è una guerra di aggressione, con migliaia di vittime innocenti, che solo chi ha cominciato può finire: davvero niente dovrebbe giustificare una tale regressione civile.
Eppure i “putinieri” d’Italia sembrano tanti, almeno a giudicare dalle presenze serali in tv. Fare le pulci a Zelensky, definirlo un pazzo che porta alla rovina il suo popolo, sta diventando una cosa snob, apre le porte dei salotti, provoca stupore e ammirazione, inviti e contratti da opinionista. E io penso che sia proprio questa la ragione per cui il virus si è così diffuso: si sono seduti dalla parte del torto perché tutti gli altri posti erano occupati.
C’è un milieu nostrano, più romano che milanese, un giro di giornalisti, professori, tuttologi e sociologi, gente di tv, che ci tengono a far vedere che loro «non se la bevono». Gente che su tutto, dall’attacco alle Torri Gemelle al Covid, dalla crisi dei subprime ai pericoli del fracking, mostra di sapere non solo tutto, ma tutto ciò che gli altri non sanno o non dicono, ed è sempre in grado di rivelare il lato oscuro della storia, ovviamente nascosto o ignorato dai media tradizionali.
Fa figo. Dice un mio amico, profondo conoscitore dei salotti romani, che se una sera a cena si comincia a parlare del “caso Moro” e tu concludi che tutto quello che c’era da scoprire è già stato scoperto, gli altri ti guardano male e la padrona di casa non ti invita più.
Se non si facesse torto all’inventore di questo neologismo, il grande Prezzolini, si potrebbe usare per loro la definizione di «apoti»: crasi di greco e latino che sta a significare «coloro che non se la bevono». Prezzolini propose questo atteggiamento «controcorrente» come modo per distaccarsi dalla lotta politica del momento, che nel 1922 vedeva furiosamente contrapposti socialisti, liberali e cattolici alla dilagante violenza dei Fasci. Lui non faceva distinzioni: «Fascisti e comunisti, liberali e socialisti, popolari e democratici appartengono a un massimo comune denominatore, quello della media italianità attuale. I loro silenzi e le loro grida, i loro gesti e le loro gesta… i loro sistemi di lotta non variano molto». Un mese dopo aver pubblicato questa lettera, che fece molto infuriare Piero Gobetti, morto poi a 24 anni dopo essere stato pestato dai fascisti, la Marcia su Roma mise fine alle illusioni degli «apoti», e fece bere a tutti gli italiani l’olio di ricino del fascismo.
PREFERIBILMENTE ROMANI E SNOB, SONO UNA SORTA DI «APOTI» PREZZOLINIANI DE NOANTRI: DIFFICILE CAPIRNE I MECCANISMI MENTALI