RIDESTATO DALLA GUERRA «MAESTRA VIOLENTA»
IL NOSTRO FONDO OSCURO
Ettore, l’eroe umano, «colui che ha subito tutto, e ha perduto tutto fuorché sé stesso», scrive Rachel Bespaloff in uno dei saggi più belli scritti sull’Iliade. Ettore, che non arretra di un passo, fino a pagarne le estreme conseguenze, perché il suo destino è proteggere la sua città, costi quel che costi. Ettore che non dimentica mai di essere un padre e un marito – i versi che raccontano il suo incontro, per una volta lontano dalla battaglia, con la moglie Andromaca e con il piccolo Astianatte sono tra i più commoventi di tutto il poema. Alla fine, però, anche Ettore sbaglia, e si fa schiavo della sua rabbia, delle sue passioni, dell’odio che lo anima.
È quando si scontra con Patroclo, che indossando l’armatura del grande Achille aveva cercato di respingere l’assalto dei Troiani. C’era riuscito, per un po’, ma si era poi fatto prendere dall’entusiasmo, spingendosi oltre, non rispettando le indicazioni di Achille, che lo aveva implorato di rimanere guardingo. Inebriato dai successi, Patroclo non si era voluto fermare, fino all’incontro fatale con Ettore. Ma neppure Ettore aveva saputo fermarsi, osserva ancora Rachel Bespaloff: «nell’eccitazione della carneficina» aveva cessato di rispettare il codice d’onore, insultando il nemico sconfitto, e ormai morente. «Spingendo la vendetta fino all’empietà, aveva profanato il corpo della vittima per ucciderne persino l’anima». Cosa questo significava lo avrebbe capito il più grande storico dell’antichità, Tucidide, raccontando di un’altra guerra terribile, quella tra Sparta e Atene.
È un commento che si legge a proposito della guerra civile scoppiata a Corcira; ed è la definizione forse più illuminante che sia mai stata data della guerra. A Corcira si era vista ogni forma di violenza e di crudeltà, con padri che uccidevano i figli e figli che uccidevano i padri. Ma questo non deve stupire, suggerisce lo storico: così vanno le cose in guerra, e questo è l’insegnamento della guerra. Perché, scrive, «la guerra è una maestra violenta». La provocazione è evidente: cosa c’entra la guerra con l’insegnamento? Educazione e violenza non sono agli antipodi? Ma nella sua ambiguità grammaticale – l’espressione può essere intesa in due modi – questa è la definizione perfetta della guerra e di quello che significa per noi. La guerra è una maestra violenta perché, prima di tutto, insegna a fare male, insegna sempre nuovi metodi per uccidere. Ma l’espressione significa anche un’altra cosa: la guerra è una maestra perché ci insegna chi siamo davvero, perché porta alla luce quella componente violenta, oscura, bestiale che alberga dentro ciascun essere umano – ciascuno di noi, con buona pace di quei tanti che pensano di potersi ergere a giudici degli errori altrui. La guerra è una maestra violenta perché ci insegna a vedere che noi siamo esseri violenti. È la verità di Ettore, e non soltanto di Achille. Risvegliare questo fondo oscuro, che in tempi di pace rimane celato, dormiente, è forse la colpa più grave di chi si illude di poter risolvere i problemi scatenando guerre.
DEFINITA COSÌ DA TUCIDIDE, È LA FORZA CHE SPINGE L’EROE
UMANO ETTORE A NON RISPETTARE IL CODICE D’ONORE
locali della Fondazione Thuram, a pochi passi dal boulevard Saint Germain a Parigi, sono luminosi e accoglienti. Vecchi poster francesi sulle colonie dell’Africa occidentale, che oggi fanno quasi sorridere, accanto a ritratti di Nelson Mandela. Qui il grande difensore del Parma, della Juventus e della nazionale francese, campione del mondo nel 1998, organizza la sua battaglia per l’educazione, convinto che «non si nasce razzisti, lo si diventa». Lilian Thuram va nelle scuole, scrive libri che fanno discutere. L’ultimo a uscire in Italia, come sempre per add editore, si intitola Il pensiero bianco.
Che cosa significa «pensiero bianco»?
«Semplicemente l’idea che essere
IIL PENSIERO BIANCO.
NON SI NASCE BIANCHI, LO SI DIVENTA bianchi è meglio».
Oggi, tranne pochi suprematisti, nessuno lo sostiene più apertamente.
«Eppure è ancora così. Il pensiero bianco fa parte della normalità. Che essere bianchi sia meglio è un dato di fatto: facilita la vita, è un sistema di valori dominanti che si trova alla base dela cultura occidentale. Lo sappiamo tutti ma pochi sono pronti ad ammetterlo».
Nelle prime pagine del suo libro lei cita «il pensiero nero»: Toni Morrison, Maryse Condé, Martin Luther King, James Baldwin, Aimé Césaire, Frantz Fanon. Se esiste un pensiero nero, qual è il pensiero bianco?
«Prima di tutto diciamo che il pensiero nero è una costruzione del mondo occidentale. È il pensiero bianco, quello, mai definito con chiarezza, fondato in secoli di legittimazione del suprematismo bianco (apartheid, segregazione e altro), che ha strutturato il mondo. La maggior parte dei bianchi preferisce non affrontare i milioni di morti causati dalle violenze del mondo occidentale. I neri sanno di essere neri, mentre i bianchi preferiscono pensare a sé stessi come “normali”. Perché la normalità, tuttora, è bianca».
Non crede nei progressi delle lotte antirazziste?
«Certo, ma la violenza continua e pochi vogliono ammetterlo. Io sono nero e so che i neri non hanno le stesse libertà dei bianchi. I bianchi non devono sentirsi accusati personalmente, non parlo mai di individui ma di costruzione sociale.