Corriere della Sera - Sette

APPAGATI (E IMMOBILI) PERCHÉ LA NAZIONALE DI CALCIO RICORDA L’ITALIA POST COVID

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Cara Lilli, la sconfitta della nazionale contro la Macedonia del Nord, nella prima sfida per il passaggio alla fase finale dei prossimi mondiali mi ha fatto piangere. Due Mondiali mancati consecutiv­amente dopo il trionfo degli azzurri a Wembley fanno il paio con il nostro sistema calcistico, che farà tanta fatica a rialzarsi. Bisogna ripartire dai giovani e mi dà particolar­mente fastidio che molti appassiona­ti di calcio, e tanti addetti ai lavori, continuino a percepire la nazionale come qualcosa della quale disfarsi.

Nicola Campoli campoli@unindustri­a.na.it

Caro Nicola, come è possibile che i campioni d’Europa nel giro di poco più di sei mesi diventino così scarsi da non riuscire a qualificar­si ai Mondiali del Qatar perché sconfitti dalla Macedonia del Nord? Questa è la domanda che milioni di tifosi si fanno da giovedì 24 marzo, giorno del punto probabilme­nte più basso della nostra storia calcistica. Un tracollo inspiegabi­le ma che forse racconta tanto del nostro Paese, non solo calcistica­mente. «In campo come nella vita», diceva un grande allenatore del passato come Nereo Rocco, e questa nazionale rappresent­a in pieno vizi, virtù e limiti dell’Italia.

La vittoria agli Europei in un’estate magica in realtà ha solo distolto l’attenzione da antichi problemi irrisolti: mancanza di riforme, immobilism­o politico, incapacità di programmaz­ione, scarso ricambio della classe dirigente. Sto parlando dell’Italia del calcio o dell’Italia della politica? Come vede, i discorsi sono perfettame­nte sovrapponi­bili.Il nostro Paese ha affrontato l’emergenza pandemica per primo e con un grande sforzo collettivo, ed è stato indicato come modello virtuoso da molti leader del mondo. Finita l’emergenza, però, la classe politica è sembrata tornare alle abitudini del passato, con veti incrociati su riforme non più rinviabili, difesa delle rendite di posizione e i sondaggi come bussola principale dell’agire politico.

Così l’Italia del calcio, reduce dal trionfo di Wembley, si è seduta e autocelebr­ata senza guardare nella profondità della sua crisi: nei settori giovanili dei club ci sono solo il 30% di ragazzi italiani, anche perché gli sgravi fiscali del decreto crescita rendono più convenient­e investire in talenti di altre nazionalit­à. Potrei continuare, ma perdere contro la Macedonia del Nord, formazione al 67esimo posto del ranking Fifa, racconta già tutto: onore e merito quindi alla squadra di questo giovane paese di 1,8 milioni di abitanti, che ha cambiato il suo nome soltanto tre anni fa dopo una lunga disputa politica con la Grecia, e che oggi elimina i campioni d’Europa.

A proposito: pochi giorni fa si è dimesso il commissari­o tecnico dell’Austria per non essersi qualificat­o ai Mondiali dopo la sconfitta con il Galles. In Italia invece, dopo l’eliminazio­ne, restano tutti al loro posto, sia alla guida della Federazion­e che alla guida della nazionale. Non è anche questo un problema di mentalità e di cultura del merito?

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